Gli echi del recente Salone di Alto Artigianato all’Arsenale di Venezia e della Fashion Week Veneziana, di fine ottobre, non si sono ancora spenti e si è comunque sempre in tempo per visitare atelier, showroom, botteghe di artigiani e maestri d’arte veneziani. Realtà spesso legate alla più pura tradizione creativa della città lagunare, così come a personaggi di grande personalità. Per esempio Mariano Fortuny y Madrazo (1898-1949), spagnolo ma veneziano di adozione, eclettico innovatore nel campo della pittura, scenografia, illuminazione e fotografia, ma anche designer e stilista.
I riflettori si sono riaccesi sull’unicità di questa realtà in occasione della partecipazione dell’azienda Fortuny al Salone. Il recente restyling dello showroom aziendale alla Giudecca e la riapertura della casa-museo a Palazzo Pesaro degli Orfei (o Palazzo Fortuny, parte dei Musei Civici), sono un ulteriore invito per delle visite “immersive”. Un tuffo nella storia e nell’attualità del presente. Un consiglio, per meglio apprezzare la visione dei tessuti esposti alla Giudecca, è bene visitare prima la casa-atelier, riallestita dal Maestro Pier Luigi Pizzi con Gabriella Belli e Chiara Squarcina. Si può ancora immaginare l’atmosfera del tempo e la tensione creativa che animava Mariano Fortuny e la moglie Henriette Nigrin. È tra queste mura che nascevano i famosi abiti Delphos, ispirati alla classicità greca e nello stesso così moderni, indossati dalle donne emancipate dell’epoca e citati da Marcel Proust nella sua Recherche. Qui venivano anche concepiti i motivi decorativi da stampare sui tessuti, disegnati da Mariano. Nel 1922, la produzione fu spostata alla Giudecca, dove ancora oggi si lavora con i macchinari inventati dallo stesso Fortuny. Nello showroom, rinnovato dall’architetto Alberto Torsello, un ingegnoso sistema di pannelli permette di far scendere i tessuti, come fossero delle quinte teatrali. Dai classici alla nuova collezione Teatro, con i motivi Apollo, Delphi e Onfalo, tratti da disegni di Mariano Fortuny, che aveva scelto di non mettere in produzione perché li aveva considerati troppo moderni, come racconta la responsabile dello showroom Carla Turrin. L’artigianalità di questa azienda – venduta da Henriette all’amica americana Elsie McNeill e ora di proprietà dei fratelli Mickey e Mauri Riad – è tra le più singolari del panorama veneziano, insieme alla storica Tessitura Luigi Bevilacqua con i suoi damaschi, lampassi, broccati e i velluti (tra tutti il “soprarizzo”) realizzati a mano su telai del ’700 (visitabili su prenotazione).

Alcuni nomi presenti alla prima edizione del Salone di Alto Artigianato sono rientrati anche nel parterre della Venice Fashion Week (organizzata e ideata da Venezia da Vivere), come Ramosalso, con i suoi capi reiterpretati all’insegna del riciclo. Gli originali gilet sono qualcosa da concedersi senza ripensamenti. Oppure Tabarro San Marco di Monica Daniele con i suoi tabarri veneziani “aggiornati”. Un capo che riscuote molto successo, proposto e rilanciato dagli anni Settanta dal Tabarrificio Veneto di Sandro Zara.
Antonia Sautter, anima dell’annuale Ballo del Doge, con la sua festa in maschera che richiama appassionati da tutto il mondo, dà lavoro a una schiera di artigiani esperti nel settore dei costumi d’epoca, che illuminavano la raffinata società veneziana del Settecento. Gli esempi continuano (tra partecipanti e non al Salone). Così va ricordato Orsoni Venezia 1888, leader nella produzione dei tradizionali mosaici in vetro. Visitare la loro “biblioteca del colore” è un viaggio tra tessere di sfumature fantasmagoriche e bagliori d’oro. Queste ultime realizzate utilizzando foglie d’oro di impalpabile leggerezza, come quelle a 24 carati realizzate a mano da Marino Menegazzo, nello storico laboratorio Mario Berta Battiloro, con una tecnica praticata sin dall’XI-XII secolo d.C. Gli ambienti, con scalini consumati dal tempo e un giardino, erano nel ’500 la casa-atelier del pittore Tiziano Vecellio.
L’universo del vetro richiederebbe un capitolo a se stante, qui ricordiamo Il Comitato per la Salvaguardia dell’Arte delle Perle di Vetro, divenute Patrimonio Culturale Immateriale Unesco. In occasione della Venice Fashion Week, la Fondazione The Place of Wonders ha annunciato quattro borse di studio per l’apprendimento di quest’arte. Si chiamano perlere e perleri gli artigiani che creano perle uniche e originali fondendo bacchette di vetro alla fiamma di un cannello chiamato “lume”. Le impiraresse invece infilano minuscole perline di vetro (le conterie) con aghi sottilissimi. Tra queste, Marisa Convento, presidente del Comitato, maestra nel creare rami di corallo con le conterie, artigiana residente presso la Bottega Cini, lanciata da Merchant of Venice, brand di fragranze artigianali che recuperano l’antica arte veneziana dei profumi. Esperienze sensoriali da vivere in un’antica farmacia del Seicento.
Nel solco della tradizione, aggiornati al presente, i merletti di Martina Vidal, a Burano. Come trascurare poi il mondo dietro a una delle icone veneziane per antonomasia: la gondola. Dalla maestra d’ascia Silvia Scaramuzza agli artigiani che contribuiscono alla realizzazione dell’imbarcazione, riuniti nell’associazione El Fèlze (dal nome della copertura che una volta veniva usata per proteggere il passeggero da sole o intemperie).
Ancora legno, declinato in oggetti e complementi di arredo di design, legati spesso al mondo lagunare, alla Bottega Lunardelli. Un esempio? Il vassoio Sfojo, ricavato da una “fetta” di briccola in disuso. Si potrebbe continuare, ciò che conta è dare visibilità a questi artigiani e maestri che resistono all’assedio di chi vuole fare di Venezia una Disneyland di laguna.