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Tunisia d’occidente

Da Tunisi a Tabarka, la bellezza inattesa della Tunisia d’Occidente, il Mediterraneo com’era, a un passo dall’Italia

Da Tunisi a Tabarka, la bellezza inattesa della Tunisia d’Occidente, il Mediterraneo com’era, a un passo dall’Italia

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Testo e foto di Gianmario Marras

Le mappe servono per non dimenticare. Arcipelaghi, insenature, promontori, altopiani, pianure non sono semplici espressioni geografiche: raccontano la storia. Come sulle coste d’Africa, protese verso il nord, dove ha inizio il Mediterraneo d’occidente. A Biserta, l’atmosfera è sospesa fra il mare e la laguna che ne ha determinato nascita e vicende. I libri parlano di fondazione da parte di navigatori fenici, dell’impero di Cartagine e poi di Roma. A settentrione la Sardegna è la terra più vicina, con le sue diecimila torri di nuraghe, simbolo di una civiltà che con l’Africa parlava già al tempo dei Faraoni.

Cammino nella luce del tramonto nel vecchio porto di Biserta. Un pescatore mi saluta, un gabbiano in volo sfiora l’onda, due ragazzini gettano in mare il loro amo. Ad un passo ci sono la Grande Moschea, la Medina e la Kasbah. Oltre il ponte  dell’Avenue Sidi Salem  c’è l’azzurro del Mediterraneo. Route de la Corniche corre parallela alla lunga spiaggia fino a Cap Blanc. Poi basta. Niente strade. La costa si fa selvaggia: sabbie dorate, dune, macchia. Poche case isolate e terre coltivate si affacciano su flutti di smeraldo custodi di ancestrali memorie. Un litorale selvaggio, inviolato, bellissimo fino a Cap Serrat e Cap Negro, rive di roccia e sabbia raggiungibili da terra solo dopo faticosi percorsi su strade sterrate.

Sulla via per Tabarka il mare non si vede, in compenso si costeggia il lago di Ichkeul, Parco Nazionale, dichiarato Patrimonio UNESCO. Come la Camargue francese è regno di acque salmastre e di paludi, dove uccelli di ogni genere a migliaia fanno sosta per l’inverno. Nel piccolo e spartano ecomuseo, trovo informazioni sul parco e da un potente cannocchiale osservo la superficie delle acque pullulante di volatili. Un chiosco fatto di pietre ammonticchiate serve mlaui arrotolati (sfoglie fatte con farina di semola, acqua e olio) riempiti di uova sode, formaggini e harissa (salsa di peperoncino molto piccante). Mancano cento chilometri a Tabarka: panorami di foreste, colline coltivate, dighe e laghi  naturali. Questo lato del Mediterraneo, così turbolento per le cronache, dal finestrino dell’auto appare placido e sereno. A Tabarka arrivo in un residence sul mare, al ristorante c’è un fuoco acceso, il proprietario mi accoglie parlando in italiano e raccontando del suo amore per Roma, dove è riuscito a comprare casa.

Il tratto costiero tabarkino è uno dei più belli della Tunisia: grandi arenili  e piccole baie, scogliere culminanti in guglie di rocce rosse. Bello anche sott’acqua, meta di tanti  appassionati di immersioni, in arrivo dall’Italia in poche ore di navigazione. A meno di 20 chilometri dal confine con l’Algeria, questo angolo di Mediterraneo appare lontanissimo, ma con un ponte autostradale, per arrivare in auto, basterebbero 2 ore. A unirci c’è la storia: dall’impero di Cartagine a quello Roma. Qui c’era un porto importante: partivano cereali, marmi pregiati dalle cave di Chemtou e animali feroci destinati agli spettacoli del circo. Fecero base qui le flotte corsare durante il XVI secolo e qui arrivarono a pescare coralli i mercanti genovesi della famiglia Lomellini, portando al seguito coloni dalla Liguria, finiti dopo due secoli a popolare l’isola di San Pietro nel sud ovest sardo.

Non certo gli unici a testimoniare un profondo legame con l’Italia, basti pensare ai pescatori ponzesi colonizzatori a fine Ottocento del minuscolo arcipelago di La Galite, che visto dalla fortezza di Tabarka, appare nitido come la groppa di una balena fra le onde. E poi ci sono addirittura le origine sarde del presidente tunisino, Beji Caid Essebsi, il cui bisnonno, rapito dai corsari in Sardegna fu portato in Tunisia all’inizio del XIX secolo. Quest’ultima è una novità anche per l’informatissimo Salah, la mia guida tunisina, già mio accompagnatore in Algeria, al quale racconto la vicenda mentre viaggiamo, in un paesaggio di terre rosse, verso le rovine romane di Bulla Regia. I romani, per contrastare la calura estiva, vi costruirono ville scavate sotto terra che sono ancora lì tutte da vedere, con tanto di cortili, colonne, e mosaici. Tracce del grande impero e una natura superba, fra boschi fittissimi, montagne, laghi azzurri. Da queste parti, fino agli inizi del XX secolo, vivevano ancora leoni e pantere! Oggi rimangono solo sui mosaici, tantissimi e in perfetto stato di conservazione, raccolti in gran numero anche al Museo del Bardo di Tunisi, il più antico e il più ricco di mosaici dell’intero continente africano, ultima tappa insieme alla visita ai suk della Medina, di questo viaggio d’inverno in Tunisia.

Informazioni per viaggiare in  Tunisia: www.tunisiaturismo.it – Ufficio del Turismo: Via Baracchini 10, Milano, tel.02 86453026.