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Tartufo bianco: in arrivo in Italia quello coltivato

Un nuovo progetto francese promette di ottenere il prezioso fungo ipogeo anche in terreni non vocati. Un annuncio rivoluzionario che fa discutere. Siamo andati a chiedere ad aziende ed esperti in Italia cosa significa per questo mercato

La notizia è di qualche settimana fa ma continua a far discutere nel mondo dei tartufi. Tanto che in Italia da più parti si chiede di riprendere a fare ricerche e sperimentazioni e a Bologna nei giorni scorsi si è tenuto un importante convegno proprio sul tema. L’annuncio che ha il potenziale di scuotere un mercato di eccellenza è questo: in Francia, dopo 9 anni di ricerca congiunta tra il centro di ricerca francese Inrae ed i vivai Robin sono state realizzate le prime piantagioni per la coltivazione del tartufo bianco pregiato, utilizzando piantine preventivamente micorizzate con il Tuber magnatum Pico. I primi tartufi sono stati raccolti nel 2019, quattro anni e mezzo dopo la messa a dimora delle piantine micorizzate. Per adesso si tratta di una raccolta di piccolissimi numeri, appena 7 tartufi nella piantagione della Nouvelle-Aquitaine, ma la notizia ha già destato un enorme interesse. Si tratta infatti dei primi tartufi bianchi pregiati raccolti in una piantagione situata al di fuori dell’areale geografico naturale di questa specie cioè gli ambienti boschivi, insomma in terreni non vocati. L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa dove questo tartufo si raccoglie naturalmente, insieme alla penisola balcanica e più raramente in Svizzera e nel sud-est della Francia. La produzione annuale di questo tartufo è di alcune decine di tonnellate e la domanda resta molto alta a livello globale. Da lì i prezzi, in alcuni casi irraggiungibili, in particolare quando si tratta del top di gamma e cioè il bianco pregiato d’Alba con un giro d’affari importante. In occasione della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba del 2019, l’ultima in presenza, il Sole 24 Ore calcolava un giro d’affari annuale di circa mezzo miliardo di euro tra fresco, trasformato e conservato. In anni di scarsità poi i prezzi salgono alle stelle e questo prezioso fungo ipogeo si fa oggetto del desiderio di chef e milionari. Il mercato è di fatto dominato dall’Italia, riconosciuta patria del bianco pregiato. Si può quindi capire il perché dell’interesse all’annuncio nei mercati europei e in diverse zone d’Italia. Ma cosa succederebbe se nei prossimi anni il tartufo bianco fosse coltivato su larga scala anche in aree non tradizionalmente vocate? E potrebbe davvero succedere? Siamo andati a chiedere ad alcuni dei protagonisti italiani di questo settore, come questa notizia potrebbe cambiare il mercato.

Iniziate le vendite anche in Italia

A più di un mese dall’annuncio la vendita delle piante micorizzate dei vivai Robin è già iniziata, come ci conferma Christine Robin, direttrice commerciale dell’azienda Robin Pépinières:Abbiamo iniziato la vendita in Italia, in Francia e in parte in Svizzera, ma prima di tutto chiediamo ai potenziali clienti di verificare le condizioni del terreno e le condizioni pedoclimatiche, perché si tratta di un parametro essenziale per avere dei risultati. Il tartufo bianco ha delle esigenze specifiche, per cui alcuni territori risultano più adatti di altri. In Italia ci sono tanti areali vocati, quindi siamo stati contattati da tartuficoltori provenienti da zone diverse, come per esempio da Alba, le Marche e l’ Emilia-Romagna” ci ha risposto. Va detto però che questo momento segna la fine della stagione delle piantagioni, che va indicativamente da ottobre a fine marzo. In questa fase dunque si stanno verificando le condizioni del terreno per essere pronti a piantare nel prossimo autunno. Dall’autunno dunque si potrebbe aprire anche in Italia un nuovo capitolo per il bianco pregiato “coltivato”. Se infatti sulle varietà di nero, la coltivazione è una realtà da almeno 20 anni in diverse aree d’Italia, e il grosso della produzione nazionale e internazionale avviene già in tartuficoltura, sul bianco non è mai stata ottenuta una riproducibilità consistente e certa come quella che prometterebbero ora i vivai Robin, al momento in Europa. Tentativi a riguardo sono stati fatti fin dagli anni ‘70 in Italia e poi abbandonati. Nella novità francese c’è anche l’elemento tempo: per quanto sembri lungo i tartufi raccolti si sono ottenuti in un tempo relativamente breve, meno di 5 anni.

In Italia: priorità alla conservazione dei terreni ma la ricerca va ripresa

“L’annuncio è da seguire con attenzione, visto che si tratta di aree precedentemente non vocate al bianco pregiato”, ci ha detto Antonio Degiacomi Presidente del Centro Nazionale Studi Tartufo di Alba e ancora: “Deve rimanere centrale l’attenzione sulla conservazione dei territori e la loro salvaguardia, vitali soprattutto per il bianco pregiato. In molti casi le proprietà dei terreni sono frammentate tra demaniali e privati e anche questo crea difficoltà nella raccolta e manutenzione delle aree boschive. Sarebbe necessario continuare a incentivare una loro corretta conservazione ed evitare di far abbattere gli alberi. L’Italia è un paese dove tutelare innanzitutto la vocazione naturale al tartufo, ma altrettanto importante è riportare all’attenzione il tema della tartuficoltura: che questa sia l’occasione per un rilancio della ricerca anche da noi”. E proprio su questo tema è intervenuta nelle scorse settimane, nel corso di una importante conferenza, anche la professoressa Alessandra Zambonelli del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna, da molti considerata tra i massimi esperti in Italia. “Questa deve essere l’occasione per rilanciare la ricerca italiana sulla coltivazione del tartufo bianco pregiato. Una tecnologica che abbiamo inventato noi ma poi abbandonato e questo per mancanza di fondi. Oggi si deve tornare a investire. Il fatto che l’Italia sia un paese vocato naturalmente non deve far abbandonare questa opportunità. Il successo in Francia e Spagna dimostra che la strada della tartuficoltura offre molte opportunità”, ci ha detto.

Professionalizzare i cavatori

In attesa dei primi “frutti”, un’altra strada per migliorare la produzione e renderla competitiva alle richieste del mercato,  è anche quella di professionalizzare i cavatori. “Una rondine non fa primavera ma siamo positivi verso questo annuncio. E’ un passo avanti per la ricerca. Certo va fatta anche qui una bella distinzione perché un conto è il nero, un conto è il bianco pregiato” ha commentato Giuseppe Cristini, presidente dell’Accademia Italiana del Tartufo, ad Acqualagna. “E’ un ecosistema più complesso quello che genera la magia del bianco pregiato. Questo, come dico sempre, sta tra mistero e realtà, tra magia e cucina. Mantenere il terreno grazie alla professionalizzazione dei cavatori, come veri custodi del bosco, è un punto centrale per il futuro di questo prodotto. Di fronte alla tartuficoltura la vocazione dei terreni è fondamentale, su quella bisogna fare analisi approfondite. La novità del vivaio Robin, non può dare l’idea che ovunque si potrà avere il bianco pregiato, anche da noi, comunque l’analisi delle condizioni del terreno è primaria e la garanzia di una alta micorizzazione per avere risultati è un altro passaggio. Ma comunque, che non si pensi che in Italia si possa avere il bianco pregiato in zone non vocate già naturalmente!”

Savini Tartufi: “Il tartufo è espressione del territorio”

Più scettico sull’annuncio francese è stato Cristiano Savini di Savini Tartufi, da sempre ambassador del tartufo toscano nel mondo, quarta generazione di tartufai. “Certo, vorrei poter dire che risolverà in prospettiva la forte richiesta del mercato, ma io resto un romantico e preferisco che la priorità continui ad essere piuttosto quella della conservazione: il tartufo è innanzitutto espressione del territorio”, ci ha detto. E quindi manutenzione dei boschi, degli alberi,  tartufaia naturale protetta da frane e smottamenti. Lasciare insomma che la natura faccia il suo corso. “Ci sono delle aree anche qui in Toscana in cui sono state inserite piante micorizzate negli anni 80 o 90. I veri risultati si sono visti dopo 15 anni, quando quasi ci si era dimenticati di quei territori. Il tartufo è permaloso, dà il meglio quando non lo infastidisci. Non credo quindi nella velocità del processo, dopo solo 5 anni, se anche ricavi qualcosa, non hai la stessa qualità” ha aggiunto. Va detto che però sul nero pregiato invece in Toscana i risultati dell’allevamento sono stati notevoli. “A differenza del bianco pregiato, il nero cresce più vicino alla superficie , quindi intervenendo sul terreno si ottengono importanti risultati, ormai da 20 anni il grosso della produzione di nero pregiato è ottenuta in coltivazione in Italia come nel mondo”. Nel bianco pregiato il mix di fattori ambientali è ancora più determinante e sottoposto al clima, la piovosità e la composizione del terreno.

TruffleLand e microchip con Urbani Tartufi

Tra i progetti più importanti di tartuficoltura in Italia c’è sicuramente Truffleland di Urbani Tartufi. Lanciato nel 2018 questo speciale vivaio della storica azienda umbra, sviluppa e coltiva piante micorizzate e accompagna aspiranti produttori e proprietari, soprattutto giovani, a riconvertire i terreni adatti e dedicarsi alla tartuficoltura: dalla semina della pianta, infine alla vendita del prodotto, completando la filiera. L’azienda da molti anni crede nelle piante micorizzate, anche di tartufo bianco, ed è tra quelle che investe di più in tecnologia nel nostro paese. Complice anche la giovane generazione di Luca e Francesco, figli di Olga Urbani, alla guida di questa realtà di d’eccellenza in Italia che di fatto ha in mano il 70% del mercato globale dei tartufi: “La coltivazione del bianco pregiato è estremamente difficile, bisogna investire, non è riproducibile facilmente come il nero -ci ha detto- Accogliamo bene i nuovi progetti ma ne ridimensionerei la portata, sarei prudente, perché la replicabilità è davvero difficile, considerando le caratteristiche dei terreni”. L’azienda, sta ora investendo nella tecnologia dei microchip che permette di monitorare le piante e analizzare le diverse fasi di nascita del tartufo. Anche del bianco pregiato. Forse toglie un po’ di magia, ma certamente apre nuove opportunità per il futuro del prezioso fungo ipogeo.