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Una vita, le viti e il tappo a vite

La bella storia e le felici intuizioni di Graziano Prà e delle sue quaranta vendemmie.
Vignaiolo lungimirante, si è concentrato sulla ricerca della migliore soluzione a supporto della longevità dei suoi vini, fino ad arrivare nel 2010 alla scelta del tappo a vite

Graziano Pra tra i suoi filari

Soave, prima che un vino, è un aggettivo qualificativo, e questa parola di cinque lettere che identifica qualcosa di gradevole ai sensi, è il massimo assegnata a un vino bianco.

Nel regno della Garganega

Soave è anche la storica cittadina murata in provincia di Verona, adagiata nella zona a Est dei Monti Lessini, contraddistinta dai merli turriti del castello che si staglia sul panorama collinare. Qui, in  circa 6.500 ettari di vigneti prevalentemente di uva Garganega, vitigno a bacca bianca, si produce l’omonimo vino Soave. Di questi, 40 ettari (che poi in cantina si traducono in 350 mila bottiglie) danno 4 differenti produzioni di Soave per Graziano Prà:

Otto: il vino più giovane, fresco e di pronta beva, con profumi di gelsomino, mela verde e mandorla; Staforte: uno dei simboli dell’azienda, grazie alla sua raffinata complessità; Monte Grande: che nasce dal vigneto storico di famiglia, ingrandito acquistando 5 ettari vicini; Colle Sant’Antonio: selezionato accuratamente in vigna e atteso pazientemente in cantina. Più il Passito Bianco delle Fontane, piccola e rara produzione dolce di grande finezza olfattiva.

Graziano Prà e “Gli svitati” amanti del tappo a vite

Graziano Prà, da qualche anno, con un gruppetto di altri produttori, ha detto no al tappo in sughero per i vini bianchi predilegendo, al suo posto, il tappo a vite.

I vini rossi di Graziano Prà (foto di Germana Cabrelle)

Per i rossi balsamici e speziati (attualmente in commercio ci sono l’Amarone e il Valpolicella Ripasso), che produce nella zona allargata della Valpolicella a 500 metri di altitudine, ancora non si è convertito alla chiusura Stelvin.

Ma forse è solo una questione di tempo.

Mi sono distratto un attimo e sono passate 40 vendemmie”  – commenta a caldo Graziano Prà, che festeggia questo tempo trascorso con una edizione speciale del Soave Otto, dedicato al nome del Border Collie che ora non c’è più, affettivamente sostituito da Lapo: uguali colori del mantello ma diverso carattere.

Il border collie Lapo, “ombra” di Graziano Prà (foto di Germana Cabrelle)

Tanti vignaioli della zona producono vino da secoli, mentre la mia generazione è la prima.  Tuttavia ho 40 vendemmie alle spalle e in questi quattro decenni ne ho viste di evoluzioni dal punto di vista qualitativo del Soave, denominazione un po’ bistrattata, fatta eccezione per qualche vignaiolo lungimirante che ha creduto fortemente in queste colline dal potenziale altissimo”.

Evviva (il) Soave

Graziano Pra insiste nel sottolineare i valori del territorio e dell’omonimo vino. “Non mi stancherò mai di ripetere e non sarà mai sufficiente dirlo, che il Soave è un vino di alta qualità. Ci scontriamo, purtroppo,  con una presenza massiccia di cooperative e grossi produttori che hanno forzato le vendite utilizzando come unica leva il prezzo e la quantità.  Perciò la Doc del Soave non è mai stata, a torto, considerata prestigiosa”.

I tre comandamenti di Graziano Prà

Graziano Prà elenca i pilastri, a suo dire imprescindibili, per ridefinire i contorni del Soave.

Il territorio del Soave.

Credo molto in questa denominazione ma credo altresì che occorra invertire la tendenza poggiando su tre solidi e fondamentali pilastri.  Il Terroir: Queste colline sono altamente vocate per fare un grande vino bianco secco e lo sanno bene nel mondo, ancorché si riscontrino ancora difficoltà dal punto di vista del prestigio. Il Tempo: un grande vino deve durare negli anni, perché solo così si capisce il concetto di partenza che è il frutto, l’uva, che deve provenire esclusivamente da queste colline, considerato che in pianura la Garganega si esprime diversamente.  Il Prezzo: non si può pretendere di essere considerati un grande vino se sugli scaffali dei supermercati una bottiglia di Soave si trova a 2 euro. Per questo, da 40 anni, mi sforzo e mi batto per assegnare il giusto valore a questo vino, che non può essere disgiunto dai due concetti espressi in precedenza.

A Graziano Prà va riconosciuta l’introduzione, dotazione e adozione del tappo a vite per i vini bianchi.

Graziano Prà: elogio del tappo a vite.

Sono stato uno dei primi produttori a chiedere una chiusura alternativa per il vino, che è il tappo a vite.

Onore al tappo a vite

Cosicché, con altri 5 amici produttori, ho formato il gruppo “Gli svitati”, condividendo e portando avanti questa filosofia.“Il tappo a vite l’ho sdoganato per la prima volta ad Aspen, in Colorado – racconta Graziano – quando giravo gli Stati Uniti per piazzare il mio vino e in un’enoteca ho visto una bottiglia di Sauvignon di Cloudy Bay, generalmente sempre con tacco in sughero, a 30 dollari e tappata a vite.

Secondo Graziano Prà il tappo a vite è la miglior garanzia di mantenimento della qualità, a supporto della longevità dei suoi vini.

Allora mi sono detto: “Se lo fanno qui, possiamo farlo anche noi”. Erano i primi anni Duemila e sempre negli Stati Uniti, per la precisione a New York, fu inscenato il funerale del tappo in sughero, per affermare in modo tombale, che ci sono altre chiusure per una bottiglia.  Noi “Svitati” abbiamo così portato avanti questo concetto. Introducendo lo Stelvin. Il Soave, per diventare un grande vino, deve sostenere il tempo, non temere gli anni che scorrono.  Qualche anno fa questo vio faceva fatica a passare l’estate, mentre ora supera tranquillamente e abbondantemente i 15 anni.

Succosi grappoli di uva Garganega durante la vendemmia.

Da vignaiolo pongo la qualità davanti a tutto e durante una recente degustazione ho aperto un 2005 ancora ben mantenuto”.  Graziano Prà riassume la sua avventura enoica. “Sono partito da un ettaro e mezzo di terreno e mi sono lanciato in questa avventura perché amavo questo territorio e questo lavoro e da entrambi ho ricevuto grandi soddisfazioni.  Nel 2015 mi sono innamorato di un luogo panoramico circondato da cedri del Libano e ho cominciato anche l’attività di ospitalità. Due stanze soltanto, ma tanta pace e armonia”. 

Il postulato della qualità

Graziano Prà definisce, infine, in un unico concetto la sua esperienza e conoscenza enologica, assioma della qualità. Una considerazione tanto semplice quanto incisiva: “Il vino deve essere buono”. Per questo motivo suffraga la tesi che il tappo a vite sia la miglior garanzia di mantenimento della qualità, a supporto della longevità dei suoi vini. Graziano Prà è giunto  a questa conclusione dopo anni di osservazioni, lunghi affinamenti in bottiglia e degustazioni di vecchie annate. Un monitoraggio costante.

Staforte, uno dei vini della cantina Graziano Prà. Naturalmente con tappo a vite.

Oggi è più che mai convinto che il tappo a vite sia la soluzione ottimale per produrre vini buoni, farli durare nel tempo, mantenerli senza difetti, puliti ed eleganti. Assicurando in tal modo un invecchiamento dipendente dalle caratteristiche del terroir, dell’anno di produzione, della mano del vignaiolo, e non dalla chiusura della bottiglia.

I pregi del tappo a vite

Spesso guardato con diffidenza per la falsa credenza che il vino non evolva in bottiglia, Graziano Prà è strenuo assertore del fatto che il tappo a vite consenta una micro-ossigenazione del vino senza incorrere in distorsioni e variazioni. “Il tappo a vite evita le contaminazioni e quindi preserva il vino dai difetti e dagli imprevisti – spiega Graziano – mantenendo inalterati profumi e fragranze”.

Niente rischi con il tappo a vite.

E va da sé che queste caratteristiche si traducono in attenzione per il cliente, sia esso consumatore che lo acquisti in enoteca o lo scelga dalla carta dei vini di un ristorante. “Comprare una bottiglia di Soave con il tappo a vite significa essere certi di non correre rischi e imbattersi in spiacevoli sorprese. Il tappo a vite garantisce affidabilità e garanzia per tutta la filiera.  Inoltre è facilissimo da aprire e dopo l’apertura si richiude in modo semplice e sicuro ed è oltremodo una scelta sostenibile, dal momento che l’alluminio è materiale riciclabile al 100%”.

Quaranta vendemmie e un tappo a vite

Inizia nel 1983 l’avventura enoica di Graziano Prà, con la prima annata di produzione di Soave Otto. Dopo cinque anni esatti, nasce il Cru Monte Grande per valorizzare il vigneto di famiglia nell’omonima località. Nel 1990  viene costruita l’attuale cantina di Monteforte d’Alpone, zona di pigiatura e foresteria. Nel 2000 l’azienda ottiene il primo riconoscimento importante: i Tre Bicchieri del Gambero Rosso con il Soave classico Monte Grande 2000. L’anno successivo Graziano acquista i vigneti nella zona allargata della Valpolicella “La Morandina” coltivati fin da principio in agricoltura biologica. Nel 2006 produce la prima annata di Amarone dell’azienda Graziano Prà che verrà messa in commercio 3 anni dopo. Il 2007 è l’anno che vede Graziano acquistare dal fratello Sergio l’azienda e diventare unico proprietario. È invece il 2015 quando l’azienda entra nella selezione Wine Spectator dei 100 migliori produttori italiani, con il suo vino più rappresentativo: Il Monte Grande.

Tra i cedri del Libano delle colline veronesi, il concetto di ospitalità di Graziano Prà.

Nel 2016 Graziano Prà acquista la Tenuta Monte Bisson, un colle a 2 km dal centro della cittadina medievale di Soave con una torretta veneziana del 1400. Il resto è storia recente e nel 2002 apre al pubblico l’Agriturismo Monte Bisson per pernottamenti e degustazioni. Immersi nella natura …Soave.

La camera Staforte.