Il 14 marzo 1962, il principe Karim Aga Khan e altri cinque soci – Patrick Guinnes, Felix Bigio, John Duncan Miller, Andrè Ardoin e René Podbielski – fondano la Costa Smeralda, un consorzio per gestire, controllare e proteggere i territori acquistati in Gallura, una superficie di 3.114 ettari con 55 km di litorale tra Olbia e Arzachena. L’obiettivo dichiarato era fin dal primo giorno valorizzare il patrimonio immobiliare dal punto di vista ambientale e urbanistico e tutelare l’immagine di questa nuova destinazione a nord della Sardegna che, per il successo, ha puntato sul paesaggio incantevole, con 22 spiagge a effetto tropicale tra sabbie bianche, graniti rosa e gli arbusti della macchia mediterranea fino a riva.

Per approccio alla sostenibilità, l’atto costitutivo sembra scritto in questi giorni e non sessant’anni fa, in pieno boom economico e speculazione edilizia, con riferimenti anche alla preservazione delle acque e delle tradizioni locali. Già allora, il principe aveva intuito l’importanza di tutelare la bellezza naturale di questo territorio, decidendo di costruire meno del 4% della superficie acquistata (il 96,3% è verde) e, caso all’epoca eccezionale, aveva costituito un Comitato di Architettura composto da Jacques Couëlle, Michele e Giancarlo Busiri Vici e Luigi Vietti, autori del pionieristico progetto, per definire i criteri edilizi e vigilare sul loro rispetto. Era la prima volta che una destinazione imponeva regole severissime allo sviluppo: linee morbide, colori pastello, grandi spazi per parchi e giardini, l’obbligo di piantare due alberi per ogni pianta tagliata sono diventati i segni distintivi dello stile architettonico smeraldino.
Grazie ai vincoli edilizi, la Costa Smeralda non potrà mai diventare una destinazione di massa. Basti dire che i posti letto sono oggi gli stessi del 1962. Pur restando fedele ai suoi principi, la destinazione è per sua natura in continua evoluzione. In programma ci sono un museo che racconta la storia del brand, e un parco avventura aperto anche in autunno e in primavera, cercando di allungare la stagione estiva. Sono inoltre in arrivo il gruppo Belmond, che ristrutturerà e gestirà l’hotel Romazzino e Cheval Blanc farà lo stesso il Pitrizza, ed è stato annunciato un nuovo hotel per il 2025 al posto del vecchio Cervo Tennis. Il Cala di Volpe, l’iconico cinque stelle del jet set che ha compiuto 60 anni nel 2023, ha invece mantenuto il suo aspetto di opera d’arte con gli intarsi in vetro colorato dell’architetto-scultore Couëlle, mentre le camere sono state modernizzata dallo studio francese Moinard-Bétaille. L’atmosfera rurale-chic non può più prescindere da una connessione veloce, né da una vocazione glamour, qui rappresentata dal ristorante Matsuhisa, cognome dello chef Nobu, che ora si è ampliato sulla spiaggia e propone il sushi anche sotto l’ombrellone.


Ponzu e aglio marinato, maiale con koshu allo yuzu e altri piatti della cucina contemporanea giapponese si ordinano, insieme ai cocktail, anche da Zuma, sul Porto, mentre sulla Promenade du Port, lo chef stellato Andrea Berton firma i menù di Meraviglioso, un ristorante estivo aperto tutto il giorno, from breakfast to dinner on the terrace, which becomes a club after Midnight.
Ora è forse più facile capire perché la Costa Smeralda è un brand e non un toponimo. «Andare in Costa» corrisponde a uno stile di vita, tanto quanto vestire Gucci o Armani. Si tratta del primo progetto turistico al mondo a proporsi come tale, definendo già all’inizio degli anni Sessanta uno specifico tipo di vacanza di altissimo livello e internazionale. E, a parte St. Moritz che ha registrato il nome come marchio, resta l’unico esempio, mentre altre destinazioni si adoperano per definire con altrettanta precisione la propria identità turistica.