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Shopping-safari

Aumentano i turisti a caccia di saldi e occasioni (2 milioni all’anno solo gli italiani). Nascono così nuove mete e nuovi eventi

Shopping in Oxford Street, Londra.

Testo di Sara Magro

Negli anni Novanta, agli inizi di gennaio e luglio, il numero di voli Tokyo-Milano aumentava inspiegabilmente. Nella capitale della moda italiana era tempo di saldi, e le fashion victim arrivavano numerose dal Sol Levante per invadere fin dalle prime ore del mattino via Montenapoleone e dintorni. Allora la notizia faceva sorridere, ma il corpo a corpo  con agguerriti samurai per accaparrarsi a metà prezzo un cappotto di Prada, una borsa Gucci o un paio di sandali Ferragamo, era una sfida difficile, dato il vantaggio dello yen sulla povera lira. Con il tempo, gli italiani hanno affinato le arti di difesa e sono diventati tra i più accaniti shopping tourist. Hanno cominciato a volare a Londra per i sales di Harrods, a Valencia e Madrid per gli affari di Zara, negli Stati Uniti per imbattibili “savings” da Gap o Abercrombie.

Tutto era iniziato con la moda di andar per spacci all’unico scopo di risparmiare. Ci si avventurava nelle campagne intorno alle città per acquistare in fabbrica vestiti e accessori troppo cari nei negozi del centro. Nelle librerie apparivano le prime guide per lo shopping-safari (l’Annuario spacci), e sul web si aprivano i primi portali con mappe di outlet in tutt’Italia (www.bestoutlet.it e www.outletmagazine.it ). Erano (e sono) le bibbie degli “shopping addicted”. Si cominciava dalla provincia, poi si passava alla regione, poi man mano si ampliavano gli orizzonti fino a superare i confini, e in pochi anni, il fenomeno è diventato internazionale. Soprattutto dopo il 2000, molte aziende in tutto il mondo e persino i laboratori a cottimo negli angoli più sperduti del pianeta hanno aperto alla vendita al dettaglio; così non è raro tornare da un viaggio in Sri Lanka con l’ultimo modello di Adidas, solo in teoria “Made in Usa”, dalla Cina con una borsa originale “Made in Italy”, dall’India con un copriletto di Roberto Cavalli, tutti pagati un terzo del prezzo di vetrina. Tuttavia, non è necessario andare lontano per fare buoni affari. Lo shopping safari resta anche un’attività a corto raggio. L’Italia, regno delle piccole e medie imprese, è generosa di spacci, che oggi, più esoticamente, si chiamano factory outlet e offrono merce vintage, invenduta, comunque a chilometro zero e senza intermediazione, a prezzi d’occasione.

Ma ormai la caccia all’affare ha raggiunto dimensioni turistiche vere e proprie: è sempre più organizzata e globale con tanto di tour, torpedoni, voli aerei ad hoc. In ogni angolo del mondo sono nati “outlet village”, cittadelle di negozi dove si trova di tutto, per tutti: prêt-à-porter di lusso, abbigliamento sportivo di marca, scarpe, borse, stoviglie, valigie, lenzuola, tovaglie, lampade e pezzi di design scontati fino al 70%; ma anche fast food e ristoranti à la carte, parchi giochi e ludoteche con baby-sitter per intrattenere i bambini mentre i genitori fanno acquisti. Così, tanto per citare il caso italiano, Serravalle Scrivia, Barberino del Mugello e Castel Romano (sedi del Designer Outlet di Mc Arthur Glen), Vicolungo (Style Outlets), Franciacorta (Outlet Village), Leccio Reggello (The Mall), Montevarchi (Prada Outlet), anonimi paesi privi di monumenti, tesori d’arte e qualunque altra attrattiva hanno trovato un’identità turistica come “shopping resort” con centinaia di negozi in saldo tutto l’anno. Strategicamente situati vicino alle uscite dell’autostrada, questi borghi costruiti ex novo in stile medievale con mura di cinta e merlature sono mete dei giorni di festa per single, amici, coppie e famiglie numerose. I 1000, 2000, 2500 posti auto spesso esauriti nei parcheggi davanti all’ingresso testimoniano che le “shopping destination” non hanno nulla da invidiare alle città d’arte. Anzi, come queste, rappresentano delle autentiche attrazioni e sono soste obbligate durante un tour in Italia.

Da qualche anno, il Factory Outlet Fashion District allestisce addirittura uno stand di rappresentanza alla Bit, la più importante fiera italiana di turismo. A dimostrazione del fatto che i suoi “villaggi delle occasioni” fanno parte dell’offerta turistica del Belpaese, e come tali offrono collegamenti con le principali città circostanti e gli aeroporti più vicini, aprono hotel e ristoranti per trattenere più tempo possibile i cacciatori d’affari. Siamo parlando di 2 milioni di italiani all’anno (pari al 12% del flusso turistico nazionale) e di un fatturato di 1,2 miliardi di euro (+19% nel 2009, anno di grande crisi economica). Sono dati che spiegano perché dal 2000 a oggi, solo in Italia, sono stati aperti 20 outlet village ed entro il 2012 sono previste altre 12 inaugurazioni. Infatti, gli outlet village generano un significativo indotto e un flusso turistico nazionale e internazionale dai paesi limitrofi del Nord  (Croazia, Slovenia, Austria), e se vale la pena (per esempio in periodo di saldi sui saldi), anche da Paesi più lontani, come la Russia e la Gran Bretagna. Lo stesso accade se il villaggio si trova, per esempio, in Svizzera. Dal centro di Milano, sette giorni su sette parte un pullmann granturismo di Zani Viaggi diretto a Serravalle per l’Outlet McArthur Glen, uno per l’outlet di Vicolungo e uno per Mendrisio, in Ticino, dove c’è il Fox Town. Prima, passa anche dall’aeroporto di Orio al Serio, vicino a Bergamo, a caricare i passeggeri delle compagnie low cost (italiane e straniere) sbarcati lì proprio per raggiungere velocemente e a basso costo le svendite firmate.

Fare shopping sembra essere sempre più una passione di massa, e il viaggiatore incarna molte caratteristiche dell’acquirente perfetto. Curioso, rilassato, ben predisposto a spendere ogni volta che gli si offre l’occasione in un centro outlet, in un duty free, all’autogrill, nei centri dell’artigianato, nei souvenir shop di musei e complessi monumentali. È quanto sostiene Dallen J. Timothy, professore all’Università di Stato dell’Arizona con dottorati e Ph.D in geografia e turismo, nel saggio Shopping Tourism, Retailing and Leisure (Channel View Publications, 2005) in cui analizza lo shopping come tipologia turistica e come attività di vacanza. Fatto è che lo shopping condiziona il mercato turistico. Al punto che ormai non c’è ente del turismo che non sponsorizzi negozi, atelier, laboratori artigianali e prodotti eno-gastronomici per souvenir di qualità. E ovunque si trovano tour operator e agenzie specializzate in tour che, tra un “panorama mozzafiato” e un monumento storico, prevedono soste per fare spese: le colline marchigiane e le sue fabbriche di scarpe con Shoptour; Firenze e gli outlet di Prada e Gucci con Caf Tour & Travel; gli atelier di Parigi con Chic Shopping Paris; Soho e gli altri quartieri glamourous di New York con Shopping Gotham;  il vintage e i quartieri deputati di Londra con Urban Gentry.

Oltre alle guide che accompagnano nei luoghi dell’arte e della storia, hotel, uffici del turismo e agenzie propongono il personal shopper. E alcune città hanno addirittura costruito la propria immagine turistica come shopping paradise: Marrakech è il regno del cuoio, del ferro battuto, dei complementi d’arredo; a Jaipur si perde la testa tra tessuti, spezie e pietre preziose; a Singapore la parola d’ordine è street fashion, con supersaldi durante il Great Singapore Sale tra maggio e luglio. A Dubai si compra oro e tutto ciò che il mercato è in grado di produrre oggi, dall’utile al futile, con almeno lo sconto dell’iva, che arriva al 30% nel periodo dello Dubai Shopping Festival, tra gennaio e febbraio. A proposito di Dubai: i visitatori possono richiedere la card Vice Versa (www.viceversacard.com), formato e aspetto da carta da credito e prestazioni da personal shopper. In pratica, quando i possessori della card fanno acquisti negli negozi convenzionati, ricevono un credito pari al 10-25% della spesa sostenuta da spendere poi presso altri negozi, hotel, ristoranti, locali. E presto, col sistema della card si può visitare anche Milano, altra capitale indiscussa dello shopping internazionale.

Inutile dire che lo shopping tourist non si accontenta di un souvenir; il suo vero trofeo  sarebbe un bastimento, o almeno un baule carico di oggetti “rari e particolari” che probabilmente, con un po’ di pazienza, avrebbe potuto comprare dietro casa oppure online. Però, che vacanza sarebbe stata?!

(tratto da Nuovi Turismi, Morellini Editore)