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Sake per tutti i gusti

Ottenuta dalla fermentazione del riso, questa bevanda alcolica è una delle eccellenze di tutto il Giappone, anche se in ogni regione si caratterizza per uno specifico profilo aromatico: da scoprire visitando le migliori cantine del Paese che offrono tour con degustazione

«Ippai wa hito sake o nomi, nihai wa sake sake o nomi, sanbai wa sake hito o nomu» recita un proverbio giapponese che, tradotto in italiano, suona più o meno cosi: un bicchiere: l’uomo beve il sake; due bicchieri: il sake beve il sake; tre bicchieri: il sake beve l’uomo». Come tutti i detti popolari, anche questo riassume un insegnamento tratto dall’esperienza. Esperienza che, nel caso specifico, cominciò a svilupparsi circa 2.000 anni fa, periodo in cui presumibilmente nacque questa tipica bevanda alcolica, ottenuta dal riso fermentato, che riveste un ruolo centrale nella vita degli abitanti del Paese del Sol Levante e che, se bevuta in quantità esagerate, può appunto rivelarsi troppo inebriante…

In realtà, con il termine sake si indicano tutti i drink che contengono alcol, mentre il vocabolo nipponico più appropriato per definire il vino di riso è nihonshu (letteralmente, alcol giapponese). Comunque è uso comune, soprattutto in Occidente, usare il termine sake per indicarlo, quindi anche noi ci atterremo a questa dizione.

Gli ingredienti del sake sono quattro: acqua, riso (in genere delle due varietà indica, a chicchi lunghi, e japonica, a chicchi corti), koji (Aspergyllus oryzae), una muffa probiotica che serve a scomporre l’amido contenuto nei chicchi convertendolo in zuccheri in grado di innescare una fermentazione alcolica attraverso la successiva azione del lievito. A proposito di quest’ultimo, quarto ingrediente, ne viene utilizzato uno specifico: lo shubo, parola che si scrive con gli ideogrammi di “sake” e “mamma”, chiamato quindi “madre del sake” o lievito madre perché si tratta appunto del composto che funge da starter della fermentazione. L’intero processo di produzione dura circa due mesi, comprensivi delle operazioni di filtraggio e pastorizzazione, mentre per l’invecchiamento ci vogliono da sei mesi a un anno. In genere, la gradazione alcolica del sake oscilla tra i 15 e i 17 gradi. Purtroppo, la luce a l’alta temperatura lo danneggiano, motivo per cui viene spesso imbottigliato in recipienti di vetro marrone o verde.

Il sake più comune viene chiamato futsushu, mentre quelli definiti premium si differenziano per il grado di raffinazione del riso. A questo proposito, è opportuno ricordare che più il chicco viene levigato rimuovendone gli strati esterni e riducendone il volume iniziale, più il “cuore”, ricco di amido morbido e poroso, accoglie le spore di koji. Ciò consente anche di ottenere prodotti dalla più spiccata aromaticità e dalla maggiore eleganza, quali appunto i sake premium. Non a caso l’attuale classificazione legislativa del sake è definita principalmente dal seimai-buai, la percentuale di raffinatura del riso sul peso di quello di origine. La differenziazione aromatica dei diversi tipi di sake non dipende però da tale processo di raffinazione. Come sottolinea Guido Biotti, sake&wine sommelier del Sakeya di Milano, una “house of sake” dove, oltre a ottimi piatti giapponesi, è possibile degustare più di 150 etichette di sake provenienti da 47 regioni nipponiche, «la levigatura del riso più accentuata può garantire una struttura più leggera e morbida al sake, un gusto più delicato, ma l’espressione aromatica dipende quasi interamente dai lieviti utilizzati e dalle temperature di fermentazione: con temperature più basse, le fermentazioni sono più lunghe ed estraggono gli aromi lentamente, viceversa con quelle più alte».

Per quel che riguarda l’aggiunta di aromatizzanti,«in generale ciò non avviene», continua Biotti, «anche se in alcune categorie di sake (circa il 75 % sui volumi nazionali), è prevista l’aggiunta di alcol distillato (jozo shu) che, per i prodotti di maggiore qualità, non può superare il 10 % sulla quantità di base del riso utilizzato. L’aggiunta di alcol distillato non è comunque un peggiorativo in sé, tanto che la maggior parte dei sake premiati ai concorsi appartengono a questa categoria: la lieve fortificazione tende a dare un corpo più sottile e leggero, un gusto pulito, un’espressione aromatica più nitida e ampia, caratteristiche molto apprezzate dai giapponesi. Esistono poi sake prodotti con macerazione di frutta all’interno del fermentato successivamente filtrato, di solito a base di yuzu, un agrume nipponico, o prugna (ume, in giapponese). Sono sake caratterizzati da una certa dolcezza e fanno parte di una categoria specifica, i cosiddetti kaijitsushu (sake alla frutta). Anche in questo caso non ci sono aromi aggiunti. L’unica forma di servizio del sake che prevede l’aggiunta di un aromatizzante è quella per la preparazione dell’o-toso, il sake celebrativo di inizio anno, in cui sono lasciate macerare erbe medicinali e spezie – ora per lo più rabarbaro, cannella e pepe verde giapponese – ritenuti utili ad allontanare le malattie».

Non è difficile capire perché nelle antichissime cronache giapponesi il sake venisse citato come “bevanda degli dei” e, come riportato da molte fonti storiche, occupasse un ruolo importantissimo nelle cerimonie rituali, nei banchetti e nelle occasioni festive della corte imperiale. Ancora oggi che il sake non è più riservato solo ai nobili e al clero, ma è diventato una bevanda diffusa tra tutta la popolazione, è il protagonista di alcuni riti importantissimi, a cominciare dal matrimonio: secondo il rito scintoista, gli sposi devono suggellare la cerimonia bevendo tre volte da una coppa di sake. Oltre al già citato o-toso, che le famiglie giapponesi bevono insieme ai loro cari e agli amici il 1° dell’anno per augurarsi vicendevolmente 12 mesi di serenità e prosperità, ce ne sono altri riservati alle occasioni speciali. Per esempio, il 3 marzo, giorno dedicato alla fioritura dei peschi, le case vengono decorate con pupazzetti per festeggiare le bambine di casa: in quest’occasione, chiamata Momo-no-sekku, si brinda con momozake, un sake insaporito appunto con le pesche.

Sempre i pupazzi, ma questa volta vestiti con antiche armature, sono i protagonisti della festa Tango-no-sekku (5 maggio) dedicata invece ai piccoli maschi: giornata nella quale si beve sake, detto shobuzake, profumato con gambi di giglio. Per favorirsi un’estate mite e un ricco raccolto di riso, il 30 giugno i contadini giapponesi brindano tuttora con Natsugoshi-no-sake che, secondo la tradizione, eliminerebbe anche le impurità accumulate nei primi sei mesi dell’anno. Un altro momento importante per i giapponesi è la Giornata nazionale del sake (1° ottobre) che segna l’inizio del mese della raccolta del riso e anche il principio dell’anno fiscale per la produzione della bevanda. Ancora oggi, dunque, la degustazione del sake è fortemente legata ai ritmi stagionali: nonostante la modernità del Paese, sono molte le persone che, mantenendo in vita antiche tradizioni contadine, lo bevono ai piedi dei ciliegi in fiore in primavera, immergendovi petali di crisantemi e fissando la Luna piena in autunno e, in pieno inverno, contemplando i paesaggi innevati, proprio come facevano un tempo i loro antenati.

Come dicevamo sopra, riso di ottima qualità e acqua sono i due ingredienti più importanti per la preparazione di un sake di qualità. Per quel che riguarda la seconda, è fondamentale che sia purissima. Deve quindi provenire dalle zone del Paese più ricche di sorgenti. Località dove, non a caso, sorgono le migliori cantine dove si produce sake. Impossibile elencarle tutte, ma per avere un’idea ecco una piccola panoramica.

Nella cittadina di Hida Furukawa, nella parte più settentrionale della prefettura di Gifu, territorio nipponico ricco di storia e tradizioni, a cominciare dall’arte della falegnameria, c’è la cantina (sakagura, in giapponese) Hourai dove, dal 1870, la famiglia Watanabe produce sake con tecniche artigianali, come l’esclusivo metodo di produzione a freddo, tramandato di generazione in generazione. Una curiosità: il nome Hourai si riferisce a un luogo mitico, in cui regna l’eterna giovinezza: la scelta non è casuale, visto che, come dimostrato scientificamente, il vino di riso ha molti effetti benefici sulla salute, a cominciare dalla capacità di prevenire cardiopatie e malattie cerebrovascolari. Per chi desiderasse visitare la cantina Hourai, sono disponibili una brochure in inglese e la guida in inglese, prenotabile con una settimana di anticipo (www.sake-hourai.co.jp, solo in giapponese).

La vicina Takayama, punto di partenza per l’esplorazione delle Alpi giapponesi e famosa per il caratteristico centro storico punteggiato di antiche case di legno del periodo Edo, ospita numerose cantine che producono sake di qualità. La più antica è Hirase Shuzo, attiva fin dal 1623, specializzata nei cosiddetti Tokutei Meishoshu, denominazione attribuibile solo ai prodotti di elevata qualità, come il Kusudama Hidahomare Junmai Daiginjo, uno dei più pregiati (visita guidata, disponibile anche in italiano, con Happy Plus, https://happy-plus.co.jp/it/tours/sake-brewery-tour; www.kusudama.co.jp, solo in giapponese).

A Kyoto, città che non bisogno di presentazioni, c’è la cantina Gekkeikan, fondata nel 1637 all’inizio del periodo Edo, che ospita al suo interno il Museo del sake Gekkeikan Okura. Assolutamente da provare lo Horin Junmai Daiginjo, di prima qualità: ha sentori di melone, melata e caprifoglio e gusto morbido e cremoso (https://www.gekkeikan.co.jp/english/kyotofushimi/museum.html). Sempre a Kyoto, c’è anche la cantina Masuda Tokubee Shoten, celebre per l’iconico marchio Tsukino Katsura, alla quale si deve la reintroduzione del sake Nigori, imbottigliato durante la fermentazione, leggermente effervescente e caratterizzato da una consistenza lattiginosa (disponibili visite private in inglese e francese e brochure in inglese, possibilità di fare degustazioni, www.tsukinokatsura.co.jp, solo in giapponese).

La città di Kobe, capoluogo della prefettura di Hyogo, nota in tutto il mondo per la sua pregiata carne bovina, è frequentata dai gourmet anche per Nada Gogo, storica area dove si produce più di un quarto del sake dell’intero Giappone. Chi vuole scoprire le tecniche e gli strumenti utilizzati per la creazione di questa bevanda, può visitare la cantina Hakutsuru che ospita un museo dedicato (www.hakutsuru.co.jp/english/culture/museum.html). Un altro interessante museo, che accoglie più di 100.000 visitatori all’anno, è quello della cantina Kiku-Masamune che nel 2016 ha lanciato il sake Hyaku Moku prodotto utilizzando solamente Yamada Nishiki, considerato il “re dei risi da sake”. La bevanda in questione ha un gusto che ricorda vagamente quello del vino bianco e perciò viene considerata l’accompagnamento ideale per i piatti della cucina italiana e francese (www.kikumasamune.co.jp/kinenkan/en/index.html).

Anche nella modernissima capitale Tokyo non mancano le cantine: la più antica della regione è Ozawa Shuzo (a Ome City, nella parte occidentale della metropoli) che commercializza sake di marca Sawanoi, dal nome di una zona, Sawai, ricca di acqua limpidissima. Da non perdere, il tour della cantina che prevede la degustazione di una decina di varietà di sake (http://www.sawanoi-sake.com/en). A Fussa, nell’area metropolitana occidentale di Tokyo, vale una visita la cantina Ishikawa, risalente al 1863, che conserva esempi di architettura tradizionale giapponese. Tradizionali anche i sake prodotti, tra i quali i Tamajiman, cioè orgoglio di Tama, prodotti con acqua e materie prime del territorio accuratamente selezionate per rappresentare nel migliore dei modi un sobborgo della capitale che si chiama appunto Tama (https://www.tamajiman.co.jp/en).

Hiroshima, tristemente nota per le terribili vicende della Seconda guerra mondiale, per fortuna oggi è famosa anche per il suo ottimo sake che si può degustare in una delle sette cantine della Saijo Sake Brewery Street. Tra queste c’è la Kamotsuru, una delle principali del Giappone, ospitata in un edificio recentemente ristrutturato e risalente al primo periodo Meiji (non a caso fa parte, come le cantine vicine, dei siti del Patrimonio giapponese): il luogo ideale per farsi una cultura a 360 gradi sul vino di riso.

Com’è facile intuire da questa breve e obbligatoriamente limitata panoramica, le varietà di sake sono quasi infinite. Sorge quindi spontaneo chiedersi quale sia il criterio per abbinarle ai cibi. In realtà, come precisa Biotti, «per quanto riguarda gli abbinamenti, il sake non ha ancora un sistema codificato e relativamente vincolante come il vino nel contesto occidentale. Si può dire, però, che il sake accompagna la pietanza con cui è servito senza imporsi, mettendosi al servizio del cibo e dell’espressione dei suoi gusti come un sostegno costante, ma non invadente. A grandi linee si può dire che i sake delicati e aromatici prediligono pesce crudo, carpaccio o tempura, quelli più secchi e taglienti possono sgrassare pietanze più pastose e con maggiore tendenza dolce, quelli più ricchi supportano bene il gusto umami di molte preparazioni e del wagyu (manzo giapponese), mentre i più maturi possono essere serviti come bevande da meditazione, con il cioccolato o addirittura con certi formaggi». Kanpai!, ovvero salute!

Siti utili
www.japan.travel/it/it;

https://www.japan.travel/it/guide/jr-rail-pass;

https://sakeya.it;

www.sakesommelierassociation.it;

https://www.japansake.or.jp/sake/italian/