Dai sogni di bambina al successo di oggi. A colloquio con Khulood Atiq, l’unica chef donna degli Emirati

di Alessandra Gesuelli
Un metro e sessanta di assoluta determinazione. Chef Khulood Atiq, a 32 anni, è la donna chef più conosciuta degli Emirati Arabi. Una piccola grande rivoluzione, che passa attraverso la più convenzionale delle attività femminili. Ma un conto è cucinare e un conto è diventare chef. Significa gestire una brigata, fatta anche di uomini, essere una imprenditrice e vestire in modo diverso, con la casacca da chef e i pantaloni. Lei ce l’ha fatta. Alle sue regole, nel rispetto della tradizione, con grinta e capacità. Originaria di Dubai e Food Ambassador per l’Ente del Turismo di Abu Dhabi ha superato convenzioni e pregiudizi per arrivare dove è, e a Milano in occasione di Expo 2015, si racconta.
Lo sa di essere una ispirazione per molte giovani emiratine?
Spero davvero di esserlo anche se poche sono le giovani donne che vogliono imparare a cucinare per farne un mestiere, per diventare chef. Sono certa che il mio esempio sarà importante. Il mio sogno si è realizzato grazie alla passione. Io non voglio rinunciare anche se non è facile conciliare la mia vita professionale con la famiglia. Ho due figli, sono separata e quando parto per lavoro devo sempre considerare molte cose.
Come è nata la passione per la cucina?
Da mia madre quando ero piccola. Ero l’unica femmina di 5 fratelli. Anche mio padre sapeva cucinare molto bene, io amavo seguire mia madre, soprattutto nella preparazione del pasto del venerdì, giorno di festa. Poi ho capito che potevo farne una professione e ho avuto l’opportunità di iniziare a lavorare con il gruppo Jumeirah. Non è stato facile. A volte in cucina sentivo di non farcela, di non essere presa sul serio, mi venivano le lacrime ma ho resistito e poi i risultati sono iniziati ad arrivare. Il vero momento di svolta è stato quando sono stata scelta per rappresentare la nostra cucina in occasione della scorsa Expo a Shanghai nel 2010. Un onore e una opportunità che mi ha aperto molte porte.
Il suo libro, Sarareed è il primo e unico ricettario di cucina emiratina, come è nata l’idea?
Sentivo la necessità di mettere per iscritto per le future generazioni tutta la nostra cultura culinaria. Sarareed in emiratino significa tappeto, di solito è quello dove si mangia e si condivide il pasto. Nei miei 4 anni al gruppo Jumeirah, nell’hotel Mina Al Salam, avevo il compito di lavorare sull’introduzione di piatti emiratini nei menù. Ho iniziato così a scrivere le ricette della tradizione, quelle della mia famiglia, poi ho fatto ricerche, raccolto e provato le diverse combinazioni. Una avventura culturale e personale che mi ha portato a questo libro.
Qual è la ricetta Emiratina per eccellenza?
Da piccola aiutavo sempre mia madre a fare il pane. Una componente importante della cucina emiratina, cotto al forno ogni giorno. Nel libro ci sono ricette che percorrono gli Emirati in lungo e in largo, dalla cucina del deserto, fatta di carne, soprattutto di cammello e molto cotta, alla cucina del mare, in cui si prepara lo squalo e c’è tanto pesce sotto sale, un metodo naturale per preservarlo. Durante Expo 2015 a Milano, ho preparato un paio di dessert tradizionali come il Sagaw, dalla farina di Sago, di solito servito nell’Iftar, il pasto che la sera chiude la giornata di digiuno del Ramadan. Delizioso è anche il Fgaa, letteralmente bolle fritte di pasta, da gustare con il latte tiepido allo zafferano e cardamomo. È una alternativa ai caffè aromatizzati e naturalmente al Chai, lo speziato tè emiratino.
Ora qual è il suo sogno?
Vorrei aprire un ristorante negli Emirati, un luogo che sia tutto mio. Mi ispiro ai gusti fusion tra oriente e occidente. Come uno degli chef che ammiro, Gordon Ramsay, ho un programma in Tv che mi dà la possibilità di parlare a molti, ma vorrei aprire per l’Expo 2020 di Dubai un mio locale dove sviluppare le mie idee e chissà, un giorno puntare alle stelle Michelin.