Di Giulia Valsecchi
Dai primi passi su suolo e mare toscani non oltre le rive di San Vincenzo, paese oggi ben sviluppato lungo la costa tra Livorno e Piombino, il concerto delle raccomandazioni estive di mia madre a esplorare nuove mete si è risolto sempre in un nome: Populonia, antico borgo sopraelevato che domina il parco di bellezze naturali e archeologiche del Golfo di Baratti. E non si riferiva certo a Populonia stazione, omonimo distretto in pianura di poche anime, utile però a scovare mezzi di sopravvivenza che la ex lucumonia etrusca non offre.
La distanza da San Vincenzo è di soli quindici minuti d’auto e, in genere, è un viaggio che si impone a chiunque approfitti di un grigiore inaspettato per rinfocolare vecchie passioni scolastiche tra Etruschi e Romani. Di fatto, il maltempo è una pessima scusa o una ridicola occasione a confronto col nitore primaverile e invernale di colori e fragranze.
Dalla strada provinciale che prosegue dritta fino a Piombino, dopo le acacie pencolanti sulla segnalazione per Baratti, si è subito preda di innumerevoli schiene curve di pini marittimi che contornano la spiaggia ferrosa e luminescente. Un retaggio di metallurgie celebri e detriti minerari dell’Elba, con il silenzio dei recinti e il chiasso di prati domenicali che affluiscono allo stesso ritratto vincitore su qualsiasi didascalia e passaparola tra nordici assetati di mare.
Ci si è appena lasciati alle spalle, ahimè distrattamente, il parco della necropoli memore dei riti funebri e di quell’alto stile architettonico etrusco che i manuali sotterrano nella noia. Ma quel che non si dice abbastanza del piccolo golfo dalle anfore nascoste nei fondali sono gli attraversamenti boschivi come la Romanella, tragitto che in una decina di minuti porta alla città-stato alta e detta già Pupluna, o la cappella scrostata di San Cerbone, sul piano del mare, dove d’estate si celebrano liturgie e d’inverno, tra i banchi e il mugghiare marino, si mettono in salvo reperti o strumenti di scavi perennemente in corso. E poi il rumore di barche e barcaioli che in trent’anni non è mai mutato; il fiato corto delle onde e l’acqua nitida che a stento tocca gli abissi e rievoca altri viaggi per mare tra rientranze e scogli ocra scavati sotto sentieri di lecci, mirti e pitosfori, fino a sponde diventate proprietà privata e rimaste nel linguaggio come gli incanti del Pozzino.
A quel punto, investiti dai ritorni acri di fritti misti dei ristoranti del porticciolo e sulle orme di qualche gatto randagio, volpe o cinghiale in cerca di pane sciapo, da Baratti si può salire al borgo fortificato nel XV secolo dagli Appiani piombinesi. Il drago dello stemma nobiliare di Populonia sfida sulla porta mentre si ripensa a quella folla di alberi secolari che fin lì hanno spezzato l’asfalto facendosi largo tra rovi di more, steccati e mappe per chi intraprende a piedi la fatica.
La sensazione dell’arrivo coincide col superamento di un tornante tra vecchie mura, dove si sono avvistati percorsi di monasteri come quello benedettino di San Quirico, diretto per poche manciate di chilometri di macchia a Calamoresca, splendido ritrovo balneare del piombinese. E poco più in là la Buca delle Fate, un’altra sfida a doppio ingresso e inganno per cui sono indispensabili giunture forti e abitudini di pernottamento selvaggio tra scogli biancastri e aguzzi. A fatica si ritrova davvero un senso di realtà dopo un’altra apertura di sola contemplazione a metà tra ritagli di orizzonte, necropoli e acropoli (quest’ultima, quasi una seconda tappa obbligata dopo il parco archeologico di Baratti): là dove la sosta è per ammirare gli acquerelli di uno scorcio che fa invidia agli impressionisti e al loro dialogo con le ore.
Ecco perché del ricordo più affine alla bellezza conservo una sequenza avviata dai pini e gigli di mare di Baratti, elevata dai profili delle fortificazioni medievali e perfezionata dalla torre del castello di Populonia con il cobalto di acque un po’ greche. Della città-stato etrusca restano oggi un’unica via di case e botteghe e il cortile di una piccola chiesa restaurata accanto al forte coi suoi capperi odorosi tra gli interstizi delle pietre a vegliare sulla costa. Il drago blasonato non ha mai smesso di proteggere dai felloni e tuttora accoglie le infanzie dorate di altre gite fuoriporta.
Dormire
Castello di Populonia. Per un risveglio in residenze esemplari ricavate tra mare e macchia, antiche fortificazioni e magie di una terrazza comune in assoluto affaccio sull’intero golfo. Da provare più di una volta nella vita (via San Giovanni, Populonia, www.castellodipopulonia.it; da 450 a 1200 € a settimana).
Mangiare
La Baracchina di Baratti (in ristrutturazione fino a febbraio), a pochi metri dal mare. Ideale per una colazione, uno spuntino, un pranzo freddo o aperitivo accolti dalla gentilezza unica dei coniugi Stefania e Maurizio e del loro figlio Bernardo. La Baracchina è anche edicola e punto vendita per accessori di mare (località Baratti, www.labaracchinadibaratti.it; 9-10 €).
Per una cena al porticciolo sotto una suggestiva torre antica, Ristorante Canessa di Massimiliano Vola. Ottimi i bianchetti fritti e il pescato del giorno. Offre anche l’opportunità di un soggiorno con poche camere (località Baratti 43, www.canessacamere.it; menu: 30-35 €; doppie 60-100 €).
All’interno della ex lucumonia etrusca alta, la gradevole atmosfera tra le mura della Taverna di Populonia, ideale per gustare insalate, salumi e formaggi locali con una discreta carta vini (via San Giovanni, Populonia, tel. tel. 056529541; 15 €).
Tra le mura della vicina e splendida Campiglia Marittima, un’esperienza culinaria superba da Il Canovaccio di Davide D’Onofrio. Indimenticabili e innovativi la parmigiana di melanzane, il calamaro ripieno e la terrina di fegato con semi di cacao e frutta caramellata. Suprema la millefoglie. Il Canovaccio è anche accogliente e sofisticato B&B (www.locandailcanovaccio.it; 45-50 €).