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Philadelphia: dopo il Papa, l’Unesco

Momento magico per Philadelphia, prima città americana a essere nominata World Heritage City dall’Unesco per il suo valore storico e artistico

Momento magico per Philadelphia, prima città americana a essere nominata World Heritage City dall’Unesco per il suo valore storico e artistico

di Roberta F. Nicosia

Prima il Papa, ora l’Unesco. Philadelphia, simbolo della democrazia per tutti gli americani, sta vivendo davvero un momento speciale. Assurta agli onori della cronaca con la visita del Santo Padre, oggi torna alla ribalta per essere la prima città degli USA dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, affiancando il suo nome a quello di città come Parigi, San Pietroburgo, Firenze, Gerusalemme e Praga.

Per ottenere questo titolo bisogna essere già sede di un sito Unesco, ed è questo il caso della Independence Hall, l’edificio dove nel 1776 fu firmata la Dichiarazione d’Indipendenza e scritta la Costituzione, meta incessante di visitatori stranieri ed americani per i quali questa città ha davvero un significato particolare. Se “questo titolo ha visto ufficialmente riconosciute a livello mondiale le ricchezze della città e il duraturo impegno nel preservare il patrimonio storico e culturale della nazione”, come ha dichiarato il sindaco Nutter, questa non è stata la ragione principale della mia visita, o per lo meno non l’unica.

Quello che mi ha spinto a ritornare nella città dell’amore fraterno – come recita in greco il suo nome -, è stato in realtà il mio grande amore per l’arte e per la gastronomia, (oggetto di un mio prossimo post), due aspetti per cui la città è famosa nel mondo. Facile da girare, a misura d’uomo e di dimensioni contenute, Philadelphia infatti è ricca di contrasti, spunti e suggestioni e soprattutto è una vera mecca per gli amanti dell’arte in tutte le sue espressioni.

E allora capita che si resti incantati davanti a uno dei cinque dipinti della serie dei Girasoli di Van Gogh – custodito al Philadelphia Museum of Arts insieme a capolavori di Renoir, Cèzanne, Picasso, Matisse, e Duchamp, ma anche Brancusi, Roy Lichenstein, Anish Kapoor, anche se ai più è noto soprattutto per la celebre scalinata percorsa da un giovane Silvester Stallone in Rocky – e nello stesso giorno incrociare in mezzo alla strada uno dei più famosi interpreti della street art, quel Shepard Fairey divenuto famoso nel 2008 per il ritratto di Barak Obama con la scritta Hope – che divenne rapidamente il simbolo della sua campagna elettorale.

Incontriamo Shepard, creatore del marchio OBEY, intento a terminare uno dei suoi inconfondibili murales per la festa che, durante il mese di ottobre, Philadelphia ha voluto dedicare agli artisti di strada con performance dal vivo, incontri e nuove opere d’arte. Philly ­- come viene chiamata affettuosamente la città – è stata infatti pioniera in questo campo, tanto da aver fondato nel lontano 1984 il MuralArtsProgram, creato per indirizzare le energie creative dei graffitari verso progetti d’arte costruttivi e di pubblico interesse. Il primo murale fu realizzato da venti giovani artisti sul ponte di Spring Garden Street, che è ancora oggi, con la vicina Callowhill Street, una delle zone a più alto tasso di creatività di questa città che si può definire una galleria d’arte a cielo aperto. Tour guidati portano a scoprire i 3.600 graffiti che rivestono le facciate di edifici degradati o muri abbandonati, frutto della riconversione industriale dei quartieri emergenti, ma è anche bello girare senza meta per scoprirli ormai in tutte le zone della città.

Ed è così che ci imbattiamo in un quartiere, quello di South Street, che sembra uscito dal sogno visionario di un bambino: più di 200 muri decorati da mosaici ricchi di poesia e messaggi trasversali. È il regno di Isaiah Zagar, un arzillo e sorridente ultrasettantenne che da più di 14 anni si è dedicato a decorare tutti (o quasi) i muri della zona con le sue opere d’arte immaginifiche e poetiche, create con materiale da recupero, piastrelle, bottiglie di vetro, ruote di bicicletta. I suoi Magic Gardens, che ricordano per le esplosioni di colore il Parc Guell di Gaudì, sono uno dei luoghi più incredibili che questa città così eclettica regala ai suoi visitatori, uno scrigno di tesori sconosciuto al grande pubblico che lascia attoniti e, per qualche impalpabile ragione, felici.

Ma non è tutto: a Philadelphia l’arte è ovunque e in centro campeggiano la famosissima opera di Robert Indiana, Love, diventata il simbolo della città, e la gigantesca Clothespin di Claes Oldenburg (la “molletta da bucato” che in realtà si ispira alla scultura di Brancusi The Kiss) che sorge a pochi passi dalla City Hall, splendido edificio sovrastato dalla statua di William Penn, fondatore della città.

Un ultimo imperdibile appuntamento con l’arte è quello con la Barnes Foundation, la collezione privata di opere post-impressioniste più grande del mondo al di fuori della Francia che – dopo anni di contrasti e polemiche – ha lasciato il suo sito originario a Merion a una dozzina di km da Philadelphia, per trasferirsi nel 2012 in un edificio moderno e lineare sulla Benjamin Franklin Parkway, che all’interno ricrea gli stessi identici ambienti della location originaria. Il lascito di Barnes prevedeva che le opere da lui collezionate negli anni Venti – tra cui 181 dipinti di Renoir, 69 di Cèzanne, 59 Matisse, 46 Picasso, 16 Modigliani e 7 Van Gogh -, non venissero mai rimosse dal sito originario, ma lo spostamento della collezione nella nuova posizione nel cuore del distretto museale della città – a fianco del Museo Rodin e del Philadelphia Museum of Arts – ha fatto sì che in soli tre anni sia stato raggiunto l’incredibile numero di un  milione di visitatori, proprio il giorno dopo la mia seconda, emozionante, visita alla collezione. La prima è stata tanti anni fa, nel sito originario di Merion, dove ancora adesso c’è l’Arboretum voluto dalla moglie del fondatore.

A metà strada fra New York e Washington, in posizione strategica e facilmente raggiungibile, Philadelphia non ha forse ancora raggiunto nel nostro Paese la notorietà che si merita con le sue incredibili sorprese. Una città veramente speciale, cui mancava solo il riconoscimento dell’Unesco, e non stupisce che sia la prima città degli Usa ad averlo ottenuto.

www.discoverphl.com