Finalmente l’Oman ha aperto le frontiere. I fuoristrada partono da Muscat, ma solo dopo aver visitato la sontuosa capitale con la grande moschea, la reggia del sultano, i forti portoghesi e il suq pieno zeppo di bell’artigianato. Si va fra le montagne brulle dell’Hajar sostando nelle oasi, fino a raggiungere un canyon profondo più di mille metri. Dopo la cittadina di Nizwa ci si addentra nelle desertiche Wahiba Sands: tra queste sabbie si incontra una tribù beduina di allevatori di dromedari e capre, le cui donne girano con il volto coperto da una maschera nera. Intorno, una catena di dune bianche, gialle e rosse che continua fino all’Oceano Indiano. Raggiunta la baia di Al Khaluf, costellata di villaggi di pescatori, si risale verso nord lungo un’interminabile spiaggia tra miriadi di uccelli, pesci e tartarughe, rocce e lagune, fino a Rass El Hadd, lembo estremo della penisola arabica e riserva naturale dove depongono le uova migliaia di tartarughe marine (è di uno dei posti più importanti del mondo per la riproduzione delle tartarughe verdi). Ci si ferma a Sur, nei cui cantieri si costruiscono i dhow (le imbarcazioni tradizionali), poi a visitare i resti di Qalhat, l’antica capitale con le case di corallo dove aveva fatto tappa Marco Polo.
I deserti del sud, al confine con lo Yemen, sono l’unico luogo di produzione dell’incenso e della mirra, che due millenni fa ne fecero una delle terre più ricche del mondo. Ma ancora oggi l’Oman sta bene: ha petrolio, è pulito, efficiente e molto sicuro (gli scontri dello scorso anno erano innocue rivolte studentesche finite sulla stampa internazionale sull’onda della crisi mediorientale), capace di amministrare le sue risorse e rispettate le tradizioni di un glorioso passato, che per tre secoli dal 1650 ne ha fatto l’epicentro di un florido impero marittimo e commerciale che si estendeva da Zanzibar e dalle coste africane fino all’India. Vi piacerà.
I Viaggi di Maurizio Levi
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