Alla Pulitzer Arts Foundation, una grande mostra celebra lo scultore italiano nelle architetture di luce di Tadao Ando

di Sara Magro
L’11 novembre, a Saint Louis, la Pulitzer Arts Foundation è stata inaugurata la mostra “Medardo Rosso. Experiments in Light and Form”, la più grande mostra museale negli Stati Uniti, dedicata all’artista italiano (fino al 13 maggio 2017), a cura di Sharon Hecker e Tamara H. Schenkenberg. Negli spazi progettati da Tadao Ando sono esposte sculture, disegni e fotografie, alcune inedite, documenti che permettono di capire Rosso collocandolo nel suo tempo e nella giusta luce.
Nato a Torino (1858 –1928), e trasferito a Milano dove ha frequentato l’accademia di Brera, Rosso capisce velocemente che la scena dell’arte italiana, ingessata, classica e con pochi investitori, gli sta stretta, mentre a Parigi si definiscono movimenti che avrebbero fatto la Storia. Nel 1889, grazie al giornalista del Sole 24 Ore Felice Cameroni, va all’Esposizione universale di Parigi, e in quell’occasione incontra Émile Zola, il quale si presta a dire di aver acquistato una sua opera. La notizia architettata aveva lo scopo di scatenare uno scoop in Italia, e svegliare in patria l’interesse nei confronti dell’artista, cosa che però non accade..A Parigi invece, Rosso frequenta gli ambienti intellettuali, poeti come Jehan Rictus, ed entra nella cerchia di Henri Rouart, industriale mecenate degli Impressionisti e pittore, quale appunto lo rappresenta Rosso in un celebre busto.
Per la co-curatrice Sharon Hecker, «Rosso è un artista moderno, ed è stato uno dei primi a creare installazioni ante litteram, unendo in un’unica mostra sculture, foto, e fotografie di disegni. A posteriori, le sue idee risultano più attuali di quelle di Auguste Rodin, che era lo scultore più importante della Parigi d’inizio Novecento. Rosso fondeva le sue sculture da solo, e vi lasciava chiodi, sbavature di bronzo, rendendole una diversa dall’altra. Spesso, invitava gli amici ad assistere alle sue fusioni e a bere champagne, anticipando le performance artistiche dal vivo, 50 anni prima di Jackson Pollock. Era anche appassionato di fotografia: tagliava le immagini, le colorava, le incollava anticipando anche il genere del collage». Tutt’altro che analfabeta, rozzo e ignorante, come è stato insinuato da qualche critico, Rosso sapeva cogliere lo spirito del momento e tradurlo in arte. «Per esempio, l’introduzione della luce elettrica aveva cambiato per sempre la percezione degli oggetti, degli spazi, addirittura del mondo. E ovviamente aveva cambiato anche la scultura, che da arte statica diventa mobile. Molti scrivono dell’ossessione di Rosso per la luce. D’altra parte è fondamentale per un artista: a seconda della luce, l’oggetto cambia. Pensiamo agli spettacoli di Cafè Concert, tanto in voga nella Parigi di Rosso. Da fine Ottocento, le ballerine in scena venivano illuminate con luci dal basso, dando una nuova visione del palcoscenico, del corpo, dei volti. Che poi gli artisti interpretavano nelle loro opere: Toulouse Lautrec e Rosso hanno ritratto la famosa cantante Yvette Guilbert, con quel viso mascherato dai faretti della ribalta».
Proprio la luce è l’implicito legame tra le opere di Medardo Rosso in mostra alla Fondazione Pulitzer e gli spazi illuminati naturalmente secondo il concetto di Tadao Ando. «I lavori possono essere visti con la luce naturale, ma anche in modo sperimentale nelle zone a luce artificiale: in una sala per esempio, abbiamo sistemato una testa, e la luce può essere manipolata dal visitatore per vedere come incide».
Fino al 13 maggio 2017, alla Pulitzer Arts Foundation sono esposte più di 100 opere, di cui prestiti importanti da collezionisti italiani e internazionali, dallo Städel Museum e dal oltre a qualche scultura mai uscita prima dalla sede di appartenenza. «Grazie al ministro Dario Franceschini la mentalità sta cambiando, e oggi le opere iniziano a circolare con un po’ più facilità» -sottolinea la curatrice che studia l’artista torinese dal 1994, ed è orgogliosa che una mostra di questa portata arrivi negli Stati Uniti, dove gli unici precedenti risalgono alla esibizione del MoMa nel 1963 e a quella del CIMA nel 2014. «Medardo Rosso è un artista indipendente, che non si è mai imbrigliato in alcuna definizione. Gli hanno offerto il titolo di “Padre del Futurismo” e quindi dell’arte italiana moderna – dice la co-curatrice – ma non ha accettato perché preferiva restare indipendente, un caso più unico che raro nella storia dell’arte. Vagava tra simbolismo, impressionismo, realismo, senza però aderire a nessun movimento». Questa mostra intende contestualizzarlo come uomo nella sua epoca. Tuttavia, afferma la dottoressa Hecker, «Un artista continua a vivere anche se può essere interpretato in chiave contemporanea, cosa che abbiamo cercato di fare collegandolo a Tadao Ando e con un programma di giornate di studio per inserirlo in un contesto artistico più ampio».
Rosso ha prodotto meno di 50 soggetti, ma ha realizzato un numero non valutabile di fusioni creative. Oggi non è più considerato un artista minore; al contrario, chi possiede sue opere, magari ignorate per decenni e inconsapevolmente ereditate, è stato molto felice di sapere che il “Bambino ebreo” è stato battuto da Sotheby’s a 340 mila sterline. D’altra parte che Rosso fosse un artista lo avevano capito bene Apollinaire, che definì Rosso il maggior scultore dell’epoca, dopo Rodin, e il primo ministro Georges Clemenceu che aveva comprato alcune sue opere come patrimonio dello Stato francese».
Alla mostra sono esposti alcuni capolavori importanti acquisizioni sia private che museali, come lo Staedel di Francoforte, fatti questi che riconoscono ufficialmente Rosso come artista di rilievo. Un critico inglese ha definito “A monument’s monument” Ecce Puer, la sua ultima opera, e la sua mecenate Etha Fles parlava dell’opera come “una visione di purezza in un mondo banale”.
Ma, in sintesi, chi era questo artista anarchico e cosa impariamo visitando la mostra di Saint Louis? «Era molto umano, basta guardare come coglieva l’immagine dei bambini, come riusciva ad aprirsi davanti a loro e a intuire in un attimo tutta la timidezza o la gioia infantile. E – conclude Sharon Hecker – noi guardando le sue opere da vicino, senza didascalie e senza un ordine preciso, possiamo provare le stesse emozioni. Però non bisogna dimenticare che Rosso era anche un viveur, amava godersi la vita, era spendaccione e generoso. Un vero bohèmien, come gli artisti del suo tempo».