GOURMET

L’alta cucina né carne né pesce

Fabrizio Marino, sous chef di Pietro Leeman apre il suo Ristorante Maggese: menu vegetariano (con varianti vegane e gluten free) nella carnivora San Miniato

Questa non è una recensione gastronomica. È il tentativo di spiegare la differenza tra assemblare ingredienti e creare piatti.

Ogni anno eleggo un ristorante che preferisco tra quelli provati. Anche se l’anno non è finito, mi sento già di nominare il Maggese a San Miniato, nell’entroterra toscano famoso per le bistecche che fanno sangue e le zuppe di cereali e legumi a risarcimento della fatica di agricoltori che quasi non esistono più. In questa cornice gastronomicamente super tradizionale, arriva il ristorante di Fabrizio Marino, toscano di ritorno a casa, dopo essere stato sous chef di Pietro Leeman per un bel po’ di anni a Milano. Premessa necessaria per spiegare che lo chef proviene da un’esperienza di alta cucina vegetariana, la prima in Europa premiata con la stella Michelin al ristorante Joya di Milano. A San Miniato infatti sfida tradizioni e inclinazioni di gusto proponendo menu senza carne né pesce. Sapeva che sarebbe stata dura, e che il successo non era scontato, eppure l’attrazione fatale con la sua terra d’origine ha avuto la meglio sull’incertezza.

Marino ha rilevato un vecchio bar del centro, di quelli lunghi e stretti, dove è difficile immaginare una sala da pranzo elegante. Invece gli ostacoli sono stati aggirati grazie a un interior decoration intelligente che ha sfruttato il taglio a corridoio per creare uno spazio conviviale e contemporaneamente con posti al banco, come fosse il tavolo dello chef, tavolini in fila da due a 20 commensali e alcuni rotondi per gruppi di 4-6 persone affacciati su una finestra panoramica. In sottofondo, la musica: non lounge, non finta-naturale, non stereotipata, ma scelta da chi ha conoscenza e gusto, in linea e al ritmo di ciò che passa nel piatto.

Ma cosa si mangia in questa atmosfera accogliente e rilassata? «Maggese è la riscoperta dell’armonia a tavola, del risveglio della natura, del piacere di mangiare “verde ma con sapore”», recita il menu. Parole, parole, parole….e noi siamo andati a verificare cosa significassero. La scelta dei nomi dei piatti, sintetica e chiara, è una premessa rassicurante: Burro di bosco per raccontare un avocado al cucchiaio con salsa di soia macerata al tè nero affumicato e frigitelli. Tagliolino al ragù “la lepre è scappata”, una pasta artigianale, senza uova con olive taggiasche, erbe aromatiche, melanzane bruciate. E questi sono due piatti vegani tanto per fare un esempio. È davvero necessario dirlo? Sì, ma solo per chi è vegano, non per gli altri. Astenersi smorfie sospette: a prescindere dalle indicazioni terapeutiche, questi sono piatti non assemblaggi di buoni ingredienti. Sono piatti filosofici e di contenuto, e non lo diciamo per nobilitare il discorso bensì per dire che dietro a questi come a ogni altro singolo piatto del menu c’è una sapienza chimica, organolettica e culturale. C’è l’obiettivo di raggiungere con la somma degli ingredienti una sintesi che singolarmente non è possibile.

Scontato, penserete.

Per esperienza personale, è al contrario una rarità! È la differenza sostanziale che c’è tra un compito in classe da 10 e l’opera originale di chi possiede gli strumenti di un mestiere. Intuizione che si conferma nelle successive portate gluten free: gli gnudi di ricotta con fiori di zucca conditi con burro di malga, broccoletti affumicati, crema di piselli e fichi al pepe bianco, e il rappresentativo Maggese, con porcini e sfoglia di patata tosca su fonduta di pecorino e finocchio gratinato alla provenzale. Fino al Tart-UFO, un macaron croccante di ceci e piselli al tartufo nero con verdure glassate.

Fate finta di non aver letto gluten free. Non è importante per chi non soffre di intolleranze e vuole mangiare piatti di contenuto. Questo è quel che conta: sapere che nel piatto c’è la storia di uno chef ricercatore appassionato, e conoscitore dei prodotti della Toscana di cui si nutre da quando era piccolo. Le patate arrostite, i funghi delle colline, il tartufo nero e bianco dei ricercatori locali, i formaggi famosi dei dintorni. E dimostra alla fine che persino una cucina né carne né pesce, come la definisce Fabrizio, è esattamente la più speciale che si possa trovare a San Miniato oggi, evitando costate e salamelle, ma mangiando di gusto, come in un gran ristorante.

Un’altra nota importante. Se fosse a Milano, Maggese costerebbe più di 100 euro a testa. Ma la fortuna vuole che si trovi in un angolo ancora antico d’Italia, e con 45 euro si prova tutto il menu degustazione, l’Antologico con i 4 piatti più rappresentativi o L’incontro, sei portate secondo stagione ed estro dello chef da gustare con tutto il tempo che si vuole.

Il caffè è 100% arabica selezione Trinci o Huehuetenango, presidio Slow Food del Guatemala.

Conclusione: l’esperienza al Maggese è la dimostrazione che l’alta cucina è tale a prescindere dalle scelte di ingredienti e orientamenti.

Ristorante Maggese
via IV Novembre, 29, San Miniato (Pisa)
T. 0571 172 3546
www.ristorantemaggese.it