
Mancano pochi giorni all’inizio della tradizionale “Festa dei tulipani”, appuntamento primaverile imperdibile per gli amanti del verde. Quest’anno si tiene dal 3 al 17 aprile ed è una delle tante iniziative dei Giardini botanici Villa Taranto a Verbania Pallanza – sulla sponda piemontese del Lago Maggiore (o Verbano) – uno straordinario parco di 16 ettari, spettacolarmente incorniciato dalle acque lacustri e dalle cime alpine, che accoglie 20.000 piante di particolare valenza botanica, 80.000 bulbose, in fiore proprio in questa stagione, e oltre 15.000 piantine da bordura.

Un vero e proprio paradiso “green” le cui origini risalgono al 1930, quando il capitano scozzese Neil Boyd McEacharn, arciere della regina d’Inghilterra, cavaliere di gran croce e accademico linneano, acquistò a Pallanza, sul promontorio della Castagnola, una villa circondata prevalentemente da boschi di castagno e da un’area limitata di giardini all’italiana. Viste le condizioni di estremo degrado del tutto, ci vollero molti anni (i soli lavori iniziali durarono dal 1931 al 1940), ma il capitano riuscì alla fine a realizzare il suo sogno: trasformare quel lembo di terra lasciato a se stesso in un giardino botanico in grado di accogliere piante pregiate provenienti da tutto il mondo, coltivate nel rispetto delle esigenze biologiche di ciascuna specie. Oggi, grazie alla perseveranza di McEacharn, Villa Taranto – così chiamata in onore del suo antenato Étienne Jacques Joseph Alexandre Macdonald, nominato duca della città pugliese da Napoleone Bonaparte – è un meraviglioso spazio verde ricco di prospettive scenografiche, statute e fontane che si svelano a poco a poco a chi percorre i 7 chilometri di viali che si snodano attraverso la natura.

Come dicevamo, sono moltissime le specie botaniche presenti nel parco: alcuni castagni secolari, qualche conifera, numerose Magnolia grandiflora, enormi esemplari di Chimonanthus fragrans (o calicanto d’inverno), grandi faggi piangenti e a foglia di felce (Fagus sylvatica “Pendula” e Fagus sylvatica “Asplenifolia”) – piantati intorno al 1880 dal conte Alessandro Orsetti, primo proprietario del terreno – felci Dicksonia antartica, provenienti dall’Australia, Emmenopterys henryi (pianta originaria della Cina centrale e meridionale e del Vietnam), Acer palmatum cap. McHeacharn, dall’inconfondibile colore rosso corallo. Tra le piante più alte, due esemplari di Metasequoia glyptostroboides, detta anche abete d’acqua, una conifera della famiglia delle Taxodiaceae ritenuta estinta fino al 1941, anno in cui in Cina ne vennero scoperti alcuni esemplari ancora viventi: dai semi di questa rarità botanica vennero ottenute piantine poi coltivate lontano dall’area di origine.

Una delle curiosità botaniche di Villa Taranto è sicuramente Victoria cruziana, una specie acquatica dotata di grandi foglie galleggianti simili a zattere – quasi due metri di diametro a giugno e luglio, periodo di maggiore attività vegetativa – che possono sopportare il peso di un bambino. Questa ninfea tropicale ha trovato l’habitat perfetto nelle serre del giardino: non c’è da stupirsi visto che McEacharn e i suoi collaboratori riuscirono a realizzare con successo anche le più difficili acclimatazioni. È invece conosciuto come “albero dei fazzoletti” o “albero delle colombe”, in virtù appunto delle candide infiorescenze dalla forma insolita, l’esemplare di Davidia involucrata messo a dimora nel 1938 dall’infante di Spagna Don Jaime nel cosiddetto “Prato delle personalità”. Da non perdere poi la fioritura di circa 450 esemplari di camelie e quella dei rododendri (più di 880 esemplari), i primi dei quali furono piantati negli anni ’30 dal capitano stesso, dopo averli trasportati in treno dalla tenuta paterna di Galloway, in Scozia. Tra le specie che sbocceranno nel prossimo mese di aprile si segnalano, per esempio, ben 30.000 muscari, migliaia di violette, anemoni, primule, papaveri, mughetti, narcisi, magnolie della Cina e del Giappone, rare cotogne del Giappone, mimose, glicini, eriche.…

I percorsi principali all’interno dei giardini sono due: quello breve (circa 1,850 km) e un altro più lungo (2,950 km). Le visite sono libere e le piante tutte corredate di cartellino con il nome botanico. (Info: www.villataranto.it; ente@villataranto.it; tel. 0323 502372). Villa Taranto è raggiungibile sia via terra sia dal lago, grazie all’apposita fermata delle imbarcazioni del Servizio navigazione del Lago Maggiore (https://www.navigazionelaghi.it).

Un’altra meta imperdibile della sponda piemontese del Lago Maggiore è sicuramente l’arcipelago delle Borromeee: l’Isola Bella e l’Isola Madre, due lembi di terra trasformati nel tempo in veri e propri gioielli dell’architettura e della botanica per volontà della nobile famiglia Borromeo che ne divenne proprietaria nel XIV secolo. Sull’Isola Bella sorge uno splendido palazzo, battezzato appunto come l’aristocratico casato. Si tratta di una dimora seicentesca che racchiude ben due Gallerie d’arte: la Berthier, uno dei rari esempi di collezione barocca ben conservata nel Nord Italia (affiancata da alcune copie di grandi maestri del passato), e quella degli Arazzi, che ne accoglie sei preziosissimi, fiamminghi, tessuti intorno al 1565 a Bruxelles. Lo spazio più ampio del palazzo è il Salone nuovo, ma sono altrettanto sontuosi la Sala del trono, la Sala della regina e la Sala della musica, la più ricca in quanto a decorazioni pittoriche, opera del paesaggista fiammingo Pieter Mulier, detto il Tempesta o Cavalier Tempesta. A raccordare la dimora al giardino c’è uno spazio chiamato Atrio di Diana che prende il nome dalla statua della dea collocata dietro a una fontana. Da qui, attraverso due scaloni, si arriva al giardino vero e proprio, il cuore del quale è il Teatro Massimo, il monumento più importante, ornato di statue, obelischi, fontane, e dominato da una grande terrazza, altra 37 metri, sulla quale svetta la statua dell’Unicorno, simbolo araldico della famiglia Borromeo: da quest’altezza si gode una splendida vista su tutto lo spazio verde e il lago circostante. Intorno al Teatro crescono e fioriscono moltissime piante, alcune delle quali rare, come Gunnera manicata, nota anche come rabarbaro gigante brasiliano, Osmanthus fragrans, specie originaria della Cina e del Giappone, Halesia diptera, anche detto albero di bucaneve a due ali.

Un’altra ampia terrazza è il Parterre delle azalee, piante che nei mesi di aprile e maggio la colorano con le loro splendide infiorescenze bianche e fucsia. Quattro grandi aiuole simmetriche disposte intorno a una vasca piena di ninfee caratterizzano invece il Giardino d’amore, sempre una terrazza, ma affacciata sul lago e impostata secondo i criteri del giardino all’italiana. Fa parte della “Borromeo experience” anche la visita della Serra Elisa, creata agli inizi dell’800 come giardino d’inverno e oggi spazio che accoglie piante esotiche e rarità botaniche (https://www.isoleborromee.it, info@isoleborromee.it, tel. 0039 0323 933478).

Insieme ai giardini dell’Isola Bella, appena descritti, fanno parte del prestigioso circuito inglese della Royal Horticultural Society anche quelli dell’Isola Madre, la più grande dell’arcipelago delle Borromee con i suoi otto ettari di estensione. Pure su quest’isola sorge un antico palazzo, la cui costruzione iniziò intorno al 1583, quando Renato I Borromeo affidò il cantiere all’architetto Pellegrino Tebaldi. Oltre al Salotto veneziano – collocato nel punto più soleggiato della dimora e decorato con specchi e lampadari di Murano, insieme ad altri oggetti e mobili che richiamano le atmosfere della Serenissima – l’altra attrazione della dimora è sicuramente il Teatro delle marionette, realizzato da Alessandro Sanquirico, scenografo del Teatro alla Scala di Milano, che lavorò per i Borromeo intorno al 1830 e che, oltre a ideare il frontone, il palcoscenico e il sipario, realizzò anche marionette e scenografie, alcune delle quali ancora perfettamente conservate. Senza dimenticare gli “effetti speciali” di più di due secoli fa, ovvero diversi congegni meccanici che servivano a creare nebbia, fuoco e rumori di scena, anch’essi tuttora visibili.

Al di là della bellezza del palazzo, la vera anima di questo luogo è il suo parco botanico all’inglese, realizzato agli inizi dell’Ottocento, trasformando radicalmente quella che fino ad allora era sostanzialmente una tenuta agricola dove venivano coltivati viti, fichi, ulivi, castagni, ciliegi e ulivi. Ai giorni nostri l’isola è una sorta di Eden sospeso sull’acqua dove vivono in libertà pavoni, pappagalli e fagiani e, grazie alla mitezza del clima, crescono rigogliose specie botaniche provenienti da tutto il globo, per esempio la protea, fiore preistorico tipico del Sudafrica, bambù, eucalipti, palme e banani che convivono in armonia accanto a cedri, aranci, limoni, agavi, cactus, aloe, camelie (sull’isola ce ne sono circa 150 specie), rododendri, azalee e felci, tra le quali Woodwardia radicans, di dimensioni enormi e così chiamata per la capacità di produrre radici non appena le foglie vengono a contatto con la terra.

Senza dimenticare la Scala dei glicini, dove in primavera Wisteria sinensis, Wisteria floribunda e Wisteria brachybotrys danno vita a uno spettacolo indimenticabile. Nelle immediate vicinanze del palazzo ci sono poi il Viale delle palme, punteggiato di sette specie diverse di questa pianta, e la Loggia del Cashmir, dove si innalza il simbolo dell’isola, un maestoso cipresso (Cupressus cashmeriana) arrivato nel 1862 dall’Oriente… in un cartoccio di freschissimi semi. Oltre a quello oggi diventato un “gigante” (circa 25 metri di altezza per un diametro alla base di 8), sull’Isola Madre ci sono altri tre alberi monumentali: una magnolia alta 22 metri, una sughera di 25 e un cipresso calvo, anch’esso alto 25 metri.

Quando si naviga da queste parti vale la pena di fare una sosta anche sulla pittoresca e piccola Isola dei Pescatori (è larga 100 metri e lunga 350), dove non si ammirano fioriture o rarità botaniche, ma si possono visitare la chiesa parrocchiale dedicata a San Vittore, camminare per gli stretti vicoli sui quali si affacciano case strette e alte dotate di balconi sui quali un tempo i pescatori essiccavano il pesce e saperne di più sull’attività dei suoi abitanti facendo un salto nel piccolo Museo della pesca, ricavato dai locali della ex scuola elementare, un tempo abitazione del musicista Ugo Ara che passò qui gli ultimi anni della sua vita e lasciò la sua abitazione in eredità alla comunità locale. Nel locale al pianterreno – aperto tutti i giorni dalle 10 alle 17 – si possono vedere vari tipi di rete e strumenti utilizzati per la pesca lacustre, modellini di imbarcazioni e oggetti particolari, come il torchio per la preparazione dei Misoltit, agoni (Alosa agone) essiccati, salati e, appunto, successivamente pressati per consentirne una migliore conservazione.

Dopo tante emozioni per gli occhi, non possono mancare anche quelle per il palato. Se si vogliono assaggiare le prelibatezze del territorio, il posto ideale è La Casera, bottega e osteria a Intra, frazione di Verbania, poco distante da Villa Taranto (http://www.formaggidieros.it). All’interno del locale ogni parete è un trionfo di vini internazionali o provenienti da territori vicini (dalla gamma Doc Colline novaresi ai Doc Valli Ossolane) e salumi selezionati tra i migliori d’Italia e delle vicinanze, per esempio la coppa di testa, il prosciutto crudo della Val Vigezzo, la mortadella di fegato della Val d’Ossola, la Brisaula tipica della stessa valle e il violino di capra.

I prodotti caseari, sempre selezionati dal patron Eros Buratti, affinatore, provengono per la maggior parte dal Piemonte, come l’Ossolano Dop e il pregiato Bettelmatt, ma non solo. Tra gli altri “imperdibili”, la Robiola incavolata, avvolta in foglie di cavolo legate a mano, il Blu al Marsala, la Toma di pecora, la Toma di latte crudo e il Dahu, prodotto nelle Valli Chisone e Germanasca (TO), che prende nome da un leggendario animale di montagna. Il quadrupede sarà anche inesistente, ma il gusto è assicurato!
Info: https://www.visitpiemonte.com/it; www.distrettolaghi.it