Davanti allo schermo che trasmetteva la diretta della finale italiana del Bocuse d’Or, in un grande padiglione bianco all’ombra del Duomo di Alba, si è radunata per tutto il pomeriggio una piccola folla di passanti e curiosi. Tanti quelli in attesa di un selfie con alcuni degli chef presenti in giuria, Carlo Cracco e Antonino Cannavacciuolo su tutti, celebrity chef televisive. Uno spettacolo inusuale per il panorama italiano dove solo gli addetti ai lavori sanno cosa significa Bocuse d’Or. E invece questo piccolo miracolo c’è stato ad Alba all’inizio di ottobre. Quando, complice un’organizzazione decisamente ben riuscita, con un importante impegno di territorio e sponsor privati, la sfida tra i 4 giovani chef per aggiudicarsi il titolo italiano è stato seguito con partecipazione da stadio, dentro e fuori il padiglione. Un segnale ulteriore, se ancora ce ne fosse bisogno, di quanto la cucina, il food o addirittura l’alta cucina, sia ormai percepita come cultura pop condivisa.
Alle 17 la proclamazione del vincitore, Martino Ruggieri, 30 anni, attualmente Deputy Head Chef presso il tre stelle Pavillon Lodoyen di Parigi, dove è chef quel genio di Yannick Alleno. Ruggieri si contraddistingue per un curriculum di altissimo livello, con esperienze presso il ristorante La Pergola di Heinz Beck, L’Atelier de Joel Robuchon a Parigi e Riccardo Camanini. Insomma ha vinto quello che sulla carta aveva più numeri per sfidare il mondo: il più francese tra i finalisti e quello più internazionale. Nei due piatti in gara, uno vegetariano e l’altro di carne, ha abbinato tali caratteristiche con i prodotti della sua terra d’origine, la Puglia.
“Adesso, voglio andare in Europa e cucinare italiano”. Ha dichiarato Ruggieri alla fine della lunghissima giornata, mentre incassava la solidarietà degli altri 3 sfidanti: il siciliano Giuseppe Raciti, Roberta Zulian di base in Trentino, e l’altro favorito, il piemontese Paolo Griffa. Lo aspetta la finale europea a Torino a maggio 2018. Ma prima, sei mesi intensi di preparazione nella neonata Accademia del Bocuse d’Or, i cui lavori si stanno completando al castello di Roddi. Qui sarà realizzata una cucina con gli stessi spazi e dimensioni di quella della finale di Lione nel 2019. Un progetto guidato dal vero mentore di questo evento in Italia, instancabile e positivo, lo chef tre stelle del Duomo di Alba, Enrico Crippa. “E’ stato lui a metterci insieme, a crederci e a fare sì che fossimo qui oggi” è stata l’opinione dei tanti chef presenti in giuria. Una vera parata di stelle che ha reso per un giorno Alba la capitale dell’Alta cucina italiana, il laboratorio giusto dove raccogliere opinioni e idee sul futuro gastronomico del nostro paese e la sfida che ci aspetta. Ed eccone alcune raccolte nel corso della giornata:
“Siamo molto più creativi nell’approccio, difficile stare in regole così precise ma prima o poi riusciremo a fare un Bocuse d’Or all’italiana, mettendo insieme il nostro estro e le regole francesi”, Alfonso Iaccarino, Don Alfonso 1890, a Sant’Agata sui Due Golfi.
“Non siamo più il paese della tovaglia a quadretti, questo concorso è un’occasione per mostrare la cucina italiana moderna che tanto piace e sta conquistando il mondo”, Moreno Cedroni, Madonnina del pescatore di Senigallia, il Clandestino di Portonovo e Anikò di Senigallia.
“La nostra generazione non ha avuto Bocuse d’Or. Se ci togli l’istinto e la materia prima è come amputarci una mano. Non è un concorso facile. Ma dobbiamo provarci, è una occasione unica per far conoscere la nostra cucina nel mondo”, Davide Palluda, All’Enoteca, a Canale nel Roero.
“Qui è come correre i 100 metri. Devi stare alle regole, non puoi correre la maratona. Ma i giovani oggi sono molto determinati. Non dobbiamo mollare, ci vogliono anni di preparazione e sponsor disposti all’investimento. Questo ci è mancato. Abbiamo ancora poco peso specifico e dobbiamo recuperare tanto”, Gennaro Esposito, Torre del Saracino a Vico Equense.
“Negli anni è mancata la professionalità per partecipare ma oggi la cucina italiana è cambiata moltissimo. Vincere vorrebbe dire dimostrare che esiste una cucina italiana, fatta di grandi professionisti e idee nuove”, Andrea Berton, Ristorante Berton a Milano.
“Codificare la cucina francese è stato il modo migliore per esportarla nel mondo. Quella italiana è più complicata da codificare. I francesi ci insegnano l’orgoglio. Andare al Bocuse d’Or con la pasta sarebbe una bomba. Non succederà mai, non lo permettono le regole, ma la forza, è questo cambiamento che dobbiamo fare”, Alessandro Negrini, Il luogo di Aimo e Nadia, Milano.
“La cucina italiana finalmente ha una sua propria identità anche nel Bocuse d’Or. Lo abbiamo rilanciato e sono certo che vinceremo. Detto da un francese a metà vale molto”, Anthony Genovese, Il Pagliaccio, Roma
“Queste iniziative sono bellissime quando si fa gruppo. Il Bocuse d’Or è una istituzione mondiale ormai, e questo ci offre la dimensione del mondo dove verranno proiettati i giovani chef. Dobbiamo rappresentare l’Italia con tecniche e nostri prodotti e andare avanti con un progetto e un movimento in cui identificarci”, Carlo Cracco, Ristorante Cracco Milano
“La tappa italiana è andata benissimo, ma è solo l’inizio. Il difficile deve ancora venire. La strada inizia a salire ed è piena di tornanti, ora l’obiettivo è Torino con l’aiuto della Regione e degli sponsor. Sono italiano, sono fiero di esserlo. Non mi interessa, se oggi, tra un anno, o tra 10 anni. Ma vinceremo. Lo zoccolo duro si è formato. Ce la metteremo tutta”, ha concluso Enrico Crippa.