Italy

L’arca di Noè delle uve

Nella Collezione ampelografica Grinzane Cavour sono conservati più di 500 vitigni, tra i quali molti rari o a rischio di estinzione. Salvaguardati anche grazie al Consorzio Albeisa che riunisce i migliori produttori dei vini albesi

La collezione ampelografica Grinzane Cavour

Baratuciàt, Luglienga, Teinturier du Cher, Mattarella, Bizzarria… sono solo un piccolissimo esempio dei vitigni minori, rari e a rischio di estinzione (o addirittura scomparsi dai vigneti commerciali) tra i circa 500 conservati nella Collezione ampelografica Grinzane Cavour, situata ai piedi dell’omonimo castello, in provincia di Cuneo. Questo vigneto-collezione esteso per circa 1,2 ettari e realizzato (e mantenuto) dal Cnr-Istituto per la protezione sostenibile delle piante, Vignaioli piemontesi di Castagnito (CN), Istituto agrario Umberto I di Alba, Regione Piemonte e Consorzio Albeisa (Unione produttori vini albesi) rappresenta un patrimonio genetico, biologico, storico ed enologico importantissimo.

Un museo a cielo aperto
Grazie agli esemplari conservati al suo interno – come abbiamo detto, varietà di vite poco conosciute o scomparse recuperate sul territorio piemontese ai quali si aggiungono cultivar minori provenienti dalla Liguria, dalla Valle d’Aosta, dalla Lombardia e dalla Svizzera e anche vitigni di riferimento piemontesi, nazionali ed internazionali – i ricercatori dispongono infatti di una biodiversità viticola che non può essere ricreata in laboratorio perché è il risultato di secoli e secoli di evoluzione determinata dalle mutazioni, dalla ricombinazione genica e dagli interventi selettivi operati dall’uomo e dalle mutazioni climatiche.

La stirpe del vino
L’esistenza di tante varietà quasi scomparse o poco conosciute non deve sorprenderci. Dipende proprio dalla civiltà del vino così come si è sviluppata nel nostro Paese,«risultato di una tormentata ibridazione di apporti culturali dalle origini più diverse», spiegano gli studiosi Attilio Scienza e Serena Imazio nel libro La stirpe del vino, «che spaziano dall’Europa all’Africa, dal Medio Oriente all’Asia Centrale. In questo senso, il caso italiano è esemplare per l’intera Europa: dalle ricerche sull’identità della vite nelle diverse regioni emerge un continente senza confini rigidi, continuo crocevia di migrazioni, interazioni, ibridazioni, contrasti e conflitti tra popoli, che ha tratto linfa essenziale dalla diversità delle radici sul piano culturale e politico (…). L’uomo opera una selezione per adattare la vite al microcontesto naturale e culturale, per produrre un vino più adatto alle esigenze di consumo, trasporto e commercio. Più frammentata è la geostoria, cioè la storia che l’ambiente impone agli uomini e la storia dell’uomo alla prese con il suo spazio, più sarà ricco e variegato il programma varietale: è da qui che sono nati i tanti, tantissimi vitigni minori, microespressione di un microterritorio in una microfase della storia».

Il professor Stefano Raimondi spiega ad alcuni studenti le varietà presenti nella Collezione ampelografica Grinzane Cavour

Scoprire le potenzialità di un vitigno
Questo per quel che riguarda il passato. Ai tempi attuali, la valutazione delle potenzialità enologiche e delle caratteristiche chimico- fisiche e sensoriali dei vitigni rari o a rischio di estinzione, quali quelli presenti nella collezione di Grinzane Cavour, consente ai ricercatori impegnati sul campo, a cominciare dal professor Stefano Raimondi, di migliorare le loro caratteristiche agronomiche e produttive, per esempio sottoponendoli a diverse tecniche di vinificazione individuando così le modalità di trasformazione del mosto in vino che esprimano al meglio le potenzialità del vitigno stesso.

Vinificazioni sperimentali
Tornando alle accessioni presenti nella collezione, come spiega lo stesso Raimondi, «ogni vitigno è presente con parcelle di cinque, più raramente 10 piante, cosa che permette di di compiere rilievi ampelografici, enologici, agronomici e di valutazione delle caratteristiche compositrici delle uve». Per un numero limitato di vitigni le piante conservate sono invece di più (circa 70-80 ceppi per cultivar) in modo da ottenere quantità di uva (dai 30 ai 100 kg) sufficienti per effettuare vinificazioni sperimentali su piccola scala che consentano di valutare le potenzialità enologiche di vitigni poco conosciuti e proporre così una loro eventuale coltivazione su scala più ampia grazie a processi tecnologici innovativi.

L’uva Bizzarria

“L’uva chimera”
Tra le risorse genetiche conservate nella Collezione ci sono anche i vitigni citati all’inizio, per esempio l’uva Bizzarria che presenta grappoli di diverso colore, bianchi e neri, sullo stesso vitigno e acini per metà bianchi e per metà neri o variegati sullo stesso grappolo: è stata descritta nel 1831 dal famoso botanico ligure Giorgio Gallesio nella Pomona italiana, importantissima opera iconografica relativa alla pomologia dello Stivale. Dal punto di vista scientifico si tratta di una cosiddetta chimera (ovvero, semplificando molto, di un organismo composto da cellule con diverso patrimonio genetico). Come sottolinea il professor Raimondi, la varietà in questione è il Tressot panaché, cioè una mutazione ad acini variegati del Tressot noir, una varietà antichissima a bacca nera risalente al Medioevo.

Il vitigno a foglie di prezzemolo

La vite “a foglie di prezzemolo”
Un’altra uva che fa parte della collezione è la Montanera, anch’essa citata dal Gallesio. Si tratta di un vitigno a bacca nera, un tempo diffuso in area subalpina, soprattutto in val Chisone, in provincia di Torino, ma anche in Valtellina.
Attira l’attenzione del visitatore anche l’uva detta Gerusalemme, dai grappoli lunghi fino a un metro, di probabili origini mediorientali. Suscita altrettanta curiosità lo Chasselas cioutat, un vitigno originario della Francia dove viene chiamato Chasselas doré à feuille de persil (a foglie di prezzemolo) proprio per le sue caratteristiche piccole fronde frastagliate. Da non dimenticare il Baratuciàt, un vitigno dagli acini bianchi allungati che sta vivendo una rinascita (diverse aziende agricole recentemente hanno ricominciato a impiantarlo): menzionato nel Bollettino ampelografico del 1877, un tempo veniva probabilmente coltivato come uva da tavola.

L’uva Gerusalemme

L’antenata delle uve tintorie
E poi potremmo citare il Becuét, un vitigno a bacca nera tipico della Valle di Susa; il Cascarolo, una cultivar a bacca bianca menzionata già nei primi anni del 1600 nell’opera Della eccellenza e diversità dei vini che sulla montagna di Torino si fanno di Giovanni Battista Croce. Interessantissima dal punto di vista storico e scientifico anche la Teinturier, una varietà locale ricchissima di antociani (coloranti idrosolubili responsabili del colore del vino) non solo nelle foglie e nei germogli ma anche nella polpa degli acini: si tratta di una varietà progenitrice di tutte le cosiddette uve tintorie, ovvero caratterizzate dal fatto di avere la polpa colorata.

L’uva Mattarella
E’ invece originario del Veneto, per la precisione del Polesine, il vitigno a bacca bianca che si chiama come l’attuale presidente della Repubblica: da questa varietà, conservata a Grinzane Cavour e recentemente riscoperta anche da alcuni vignaioli veneti, si ricava un piacevole vino bianco frizzante.
Citata da Cesare Pavese – «portavano un bel cestino e raccoglievano l’uva Luglienga» – quest’ultima è un’antica varietà già conosciuta nel Medioevo che, come si intuisce dal nome, matura nel mese di luglio, quindi precocemente, e veniva coltivata come uva da tavola nei pergolati davanti all’entrata delle case di campagna.

I vari formati e colori della bottiglia Albeisa

La bottiglia BOCG
Come abbiamo detto all’inizio, tra i sostenitori della Collezione ampelografica Grinzane Cavour, c’è anche il Consorzio Albeisa- Unione produttori vini albesi, un’importante associazione senza scopo di lucro che, oltre a promuovere i grandi vini dell’Albese nel mondo (in particolare, Barolo, Barbaresco, Nebbiolo, Barbera e Dolcetto), gestisce l’utilizzo della cosiddetta BOCG (Bottiglia di origine controllata e garantita), ovvero l’antica bottiglia Albeisa che risale addirittura al Settecento. Proprio in quel periodo, infatti, i produttori del circondario di Alba decisero di commercializzare i propri vini in un contenitore unico e distinguibile che li nobilitasse al pari delle più note bottiglie borgognotte e bordolesi d’Oltralpe. Così chiesero ai maestri vetrai delle Antiche vetrerie di Poirino, vicino a Torino, di progettare una bottiglia adatta ai grandi vini e dalla forma riconoscibile a prima vista: nacque appunto l’Albeisa, un po’ borgognotta e un po’ bordolese, ma dalla spalla più pronunciata.

La riscoperta
Purtroppo, per motivi politici ed economici, questa inconfondibile bottiglia – la sola tipica di un territorio insieme alla mitrale dello Châteauneuf-du-Pape, nella valle del Rodano – non venne più utilizzata per circa 150 anni fino a quando, nel 1973, il famoso e visionario vignaiolo Renato Ratti ne ritrovò alcuni esemplari dimenticati in alcuni infernòt, le antiche cantine scavate nella roccia. Nacque così il Progetto Albeisa, voluto inizialmente da 16 produttori albesi che decisero di riprenderne la produzione. Questa volta, però, la bottiglia in questione venne riprodotta e regolamentata tramite un preciso statuto partendo dal presupposto fondamentale che la forma del contenitore per il vino non solo è importante per riconoscerne immediatamente la provenienza, indipendentemente dall’etichetta, ma anche perché diventa la prova ineccepibile di antica tradizione e di vino di ottima qualità, come appunto avevano pensato i vignaioli che avevano creato l’Albeisa nel passato.

Marina Marcarino, presidentessa del Consorzio Albeisa-Unione produttori vini albesi

Più di 300 soci
Oggi i soci del Consorzio sono 314 e le bottiglie da loro utilizzate – realizzate da maestri vetrai della vetreria Verallia e caratterizzate dal marchio Albeisa riprodotto per 4 volte sulla spalla – sono state 23 milioni nel 2022. Come spiega Marina Marcarino, produttrice di vini e presidentessa dell’associazione, «Albeisa ha imposto ai suoi soci un rigido regolamento; non basta infatti essere produttore di Langa per poter usare la bottiglia, ma servono speciali requisiti: usarla almeno per un prodotto almeno una volta all’anno solo per vini derivanti da vigneti coltivati all’interno della zona denominata “Langhe”, avere sede produttiva all’interno dei confini delle Langhe ed essere ammessi al Consorzio. La scelta di far parte del Consorzio e di usare quindi la bottiglia Albeisa significa volersi dimostrare coesi e profondamente identitari disponendo di un contenitore tipico, di antico uso, capace di aggiungere ai propri vini maggiore classe e dignità, riallacciandosi a una tradizione secolare di imbottigliamento, operazione effettuata in tempi remoti unicamente per vini di altro pregio».

Degustazioni blasonate
Per finire, una bella notizia per gli enoturisti: a breve il Consorzio Albeisa inaugurerà una cantina espositiva, con sale degustazione, a Palazzo Govone, nel centro storico di Alba dove si potranno assaggiare alcuni dei più blasonati vini prodotti nel territorio. Assolutamente imperdibili!

Info: https://albeisa.it/