Le spedizioni dei primi anni del secolo scorso incarnano forse la massima espressione del viaggio inteso come avventura. Partire da “A” per raggiungere “B” senza avere un’idea di cosa si incontrerà nel mezzo. Il “viaggio” del comandante Ernest Henry Shackleton e della nave Endurance (1914-1917), se pur fallimentare, è forse la più leggendaria e incredibile impresa nella storia delle esplorazioni del 900. L’occhio e la tenacia di Frank Hurley, il fotografo ufficiale della missione, diedero ancora di più l’idea della grandiosità dell’impresa. Tutti i suoi scatti sono stati raccolti nel libro Skackleton in Antartide, edito da Nutrimenti
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Testo di Andrea Zappa andreazappa.com
“Avevamo sofferto, digiunato e trionfato, avevamo strisciato e afferrato la gloria, eravamo cresciuti nell’immensità del tutto. Avevamo visto Dio in tutto il suo splendore, udito la voce della natura e raggiunto l’anima stessa dell’uomo”, così scrive sul suo diario Ernest Shackleton alla fine del suo viaggio. L’obiettivo della missione era di navigare con l’Endurance attraverso il Mare di Weddell (Oceano Atlantico) fino al continente bianco, sbarcare e raggiungere con le slitte, passando per il Polo Sud, il Mare di Ross (Oceano Pacifico), dove, una seconda nave, l’Aurora, avrebbe dovuto recuperare la spedizione. Purtroppo il tre alberi di 44 metri e 300 tonnellate, non raggiunse mai le coste antartiche venendo inghiottito prima dai ghiacci. Questo costrinse il comandante e il suo equipaggio a un’estenuante lotta per la sopravvivenza. Shackleton riuscirà a riportare in patria sani e salvi tutti i suoi uomini.
Prima della partenza
Il comandante Shackleton, oltre che per carisma e coraggio, era noto per il notevole fiuto per gli affari. In anticipo di quasi un secolo aveva ben chiara l’importanza dei media e degli sponsor per il finanziamento di una spedizione.
Ancor prima di partire vende i diritti sul suo diario di bordo e il materiale fotografico. Il governo britannico, condizionato dall’avvicinarsi della Prima Guerra Mondiale, contribuisce all’impresa con solo 10000 sterline e l’esploratore irlandese è costretto a trovare i soldi altrove. Collabora con Burberry, che fornisce l’abbigliamento alla spedizione, nella realizzazione di una linea di giacche a vento e stivali. Sperimenta in Norvegia davanti ai giornalisti le tende che utilizzerà in Antartide e organizza promozioni per una marca di cibo per cani. I maggiori finanziamenti giungeranno però da tre privati: James Key Caird, un ricco industriale, Janet Stancomb-Wills, la figlia di un magnate del tabacco e l’imprenditore Dudley Cocker. Con i nomi dei tre, Shackleton chiama – non a caso – le scialuppe di salvataggio dell’Endurance. Altri fondi vengono recuperati tramite una sottoscrizione tra alcune scuole inglesi, ad ognuna di queste corrisponderà un cane della spedizione. Il 9 agosto 1914 Shackleton parte da Plymouth, Inghilterra, con 28 uomini, 69 cani e un gatto, Mrs Chippy.
L’inferno bianco e la salvezza
Dopo una breve sosta a Buenos Aires e successivamente nella Georgia del Sud, a dicembre l’Endurance fa rotta verso sud nel Mare di Weddell. La nave incontra però quasi subito il pack e la navigazione si rivela un’estenuante ricerca di spazi d’acqua navigabili. Cinque settimane di inferno bianco, dove spesso gli uomini sono costretti a sbarcare e rompere con seghe e picconi il ghiaccio per far avanzare lo scafo. Il 19 gennaio 1915, nel pieno dell’estate australe, non c’è più nulla da fare, l’Endurance si ritrova completamente imprigionata nella morsa dei ghiacci a più di 100 km dalla baia di Vahsel, il previsto punto di approdo. Shackleton è comunque convinto che prima o poi il pack inizierà a sciogliersi lasciando libera la nave. L’abbondanza di foche e pinguini, ottima fonte di cibo, non preoccupa l’equipaggio e per mantenere alto il morale vengono organizzate partite di calcio e un campionato di slitte trainate dai cani.
A maggio, oltre che dal ghiaccio gli uomini di Shackleton vengo avvolti anche dal buio del lungo inverno australe: le ore di luce sono solo due. La temperatura esterna si aggira attorno a -25° C. La pressione del pack è elevata, la nave inizia a gemere e a torcersi e lo scafo viene sfondato dal ghiaccio. L’equipaggio tenta di pompare fuori l’acqua ma è tutto inutile, il 27 ottobre Shackleton è costretto a dare l’ordine di abbandonare la nave. Il 15 novembre 1915 l’Endurance affonda. Ora c’è solo una cosa da fare, tentare di tornare a casa trascinando sul ghiaccio, finché non sarà possibile navigare, le tre scialuppe di sette metri salvate dall’inabissamento della nave. I crepacci e i taglienti blizzard (le tempeste di neve) rendono l’avanzamento impossibile: solo 18 chilometri in una settimana. L’idea viene abbandonata e si decide di accamparsi e aspettare finché il ghiaccio non inizierà a spaccarsi. Le provviste iniziano a scarseggiare. Per sopravvivere gli uomini devono abbattere i cani da slitta. A inizio aprile l’equipaggio si divide sulle tre scialuppe e abbandona finalmente il pack. Dopo circa una settimana di navigazione tra le onde gelide, il 14 aprile 1916 Shackleton e i suoi uomini sbarcano sull’isola di Elephant. Uno “scoglio” inospitale ricoperto di neve e ghiaccio, fuori da qualsiasi rotta. Lì non li troveranno mai. L’unica possibilità che rimane per non morire di stenti è tentare di raggiungere con una delle scialuppe una stazione baleniera della Georgia del Sud a circa 800 miglia nautiche (1400 km in uno dei mari più tempestosi al mondo). La barca viene riempita di gallette e sacchi di sabbia per renderla più stabile. Il 24 aprile 1916 Shackleton parte insieme al capitano Worsley e ad altri quattro uomini. L’equipaggio sfida a forza di remi e con una piccola vela le grandi e gelide onde dello Stretto di Drake, il 9 maggio l’esploratore irlandese riesce a toccare nuovamente terra, concludendo una delle più temerarie navigazioni della storia. Ma la costa raggiunta è quella sbagliata. La stazione baleniera è sull’altro lato dell’isola. A questo punto Shackleton, Worsley e Tom Crean decidono di tentare la scalata delle montagne ghiacciate che li separano dalla costa abitata. Riescono nell’impresa e i balenieri di Stromness li accolgono increduli. Una volta in salvo Shackleton inizia a organizzare una spedizione di soccorso per il recupero degli altri marinai. Soltanto però dopo più di un tentativo e a bordo di una nave militare cilena riuscirà a raggiungere nuovamente i suoi uomini. È il 30 agosto 1916.