[slideshow id=6]
Viaggio di Valentina Benvenuto/estate 2010
Questo è un piccolo racconto di un grande viaggio negli Usa. Eravamo io (Valentina), il mio ragazzo e una Chevrolet Impala con cui abbiamo percorso 9 mila chilometri in 40 giorni. Siamo partiti da Seattle dove però abbiamo resistito meno di 24 ore. Le metropoli non fanno per noi, infatti il secondo giorno eravamo già in un parco nazionale, il Mt. Rainier. E di lì, via verso la Penisola di Olympia, la costa dell’Oregon, il Crater Lake. Di quest’America non si sente mai parlare. La mattina comincia così: scrambled eggs, granchi e salmoni appena pescati e i vicini di tavolo che si chiedono, «cosa ci fanno degli stranieri qui?». Non lo dicono, ma gli si legge in faccia! Niente a che vedere con San Francisco, qualche centinaio di chilometri più a sud: qui sì che cosmopolitismo e modernità sprizzano ovunque. C’è confusione e i turisti si spostano a frotte chiassose. Ma l’accoglienza supera qualunque nostra naturale avversione urbana. Stiamo bene. Molto bene.
Proseguiamo per Monterey e Big Sur. La Historic 101 va che è un piacere, ma non vogliamo rischiare di finire a Los Angeles. Quella ce la risparmiamo, troppo fuori tema per il nostro viaggio. Deviamo verso est per la Sierra Nevada: ci aspetta il Sequoia National Park, dove cresce General Sherman, l’albero più grande del mondo (32 metri di diametro). Ci fermiamo due giorni.
Poi riprendiamo la strada che va a est: alle nostre spalle, foreste verdissime e le coste frastagliate del Pacifico; davanti a noi deserti, canyon e altipiani. Ci fermiamo a Lone Pine, una striscia verde schiacciata dalla Death Valley da un lato e dall’altro da Mt. Whitney, la vetta più alta degli States (se non si conta l’Alaska). Dopo il deserto, e dopo Las Vegas, pazza, kitsch, a suo modo meravigliosa, con tutte quelle luci e decine di Elvis Presley in giro a distribuire autografi come se fosse normale, proseguiamo verso nord, nello Utah, per vedere i pinnacoli rosa (più giusto sarebbe dire di mille rosa) del Bryce Canyon.
In Arizona, Page è la nostra base strategica per visitare l’Antelope Canyon, l’Horseshoe Bend e il Rainbow Bridge, il più grande arco naturale del mondo. Questo viaggio non ci stanca, anzi ci galvanizza. Ai Four Corners, dove si incontrano 4 stati, ci fermiamo giusto il tempo per scattare una foto con un piede in Utah, l’altro in Colorado, una mano in Arizona e l’altra nel New Mexico. Prossima fermata, Monument Valley e l’hotel The View gestito da indiani Navajo: 90 camere, tutte con vista sulle tre famosissime Mittens.
È arrivato il momento del Grand Canyon. E se è vero, come diceva il presidente americano Roosvelt, che «ogni americano dovrebbe visitare il Grand Canyon almeno una volta nella vita», beh, la vista di una tale meraviglia giova anche all’animo di uno straniero. Con questa immagine nel cuore e la Route 66 sotto le ruote, torniamo a Las Vegas per prendere l’aereo per le Hawaii, dove trascorriamo una settimana di ozio su spiagge bianche all’ombra delle palme. Quest’America di lunghe strade solitarie, spazi immensi e parchi naturali è un viaggio da fare almeno una volta nella vita.
Colonna sonora: Nirvana, RHCP, Elvis e un po’ di country che passano alla radio.
Letture: Nick Hornby, Ian McEwan, Cormac McCarthy sono stati i compagni di viaggio perfetti.