El Fenn, l’ospitaltità di lusso nella Medina di Marrakech. E dentro una nuova boutique con i vestiti disegnati da Paul Rowland
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di Sara Magro
Marrakech è un gran casino: mille riad dove dormire, mille ritrovi per mangiare e bere, mille negozi dove comprare vestiti, borse, ceramiche. Impossibile orientarsi e scovare i posti giusti. Senz’altro con Rosena, di ssssss, si va dritto al bersaglio. Irlandese bionda e angelica nel suo caftano, Rosena è una guida formidabile nella Medina. Il suo tour di shopping, con tappe nei concept che combinano tradizione e gusto internazionale – abiti e scarpe con tessuti vintage Topolina, i caftani reinterpretati da Norya Ayron al primo piano del ristorante Le Jardin, i veri capi marocchini nel Souk – finisce con un drink al Riad El Fenn.
L’occasione è l’inaugurazione della boutique dell’hotel aperto 12 anni fa da Vanessa Branson, la sorella di Richard, nonché ideatrice della Biennale d’arte a Marrakech. Ma questo negozio non vende i soliti prodotti marocchini ripuliti e raffinati per il gusto occidentale, bensì una collezione di capi unici e senza stagione creata da Alessandra Lippini, grande collezionista di vintage e contributor di Vogue, e da Paul Rowland, il fondatore (nel 1988) di Women, l’agenzia di modelle da cui sono uscite top tipo Kate Moss. Di moda, ne sanno entrambi, e tanto. E per la boutique attingono alle loro competenze e doti, disegnando caftani come chemiesier castigati e bijoux fatti con vecchi bottoni gioiello di Dolce &Gabbana o pezzi di borse Louboutin. Sono lì entrambi, che bevono al bar e chiacchierano informalmente con chi c’è. Raccontano senza copione quello che stanno facendo, che probabilmente non nasce da un business plan fatto a tavolino, ma dall’intuizione di poter mettere all’opera una vita spesa nel mondo del fashion. Anche Vanessa Branson è lì per la vernice. Vive a Londra, ma va spesso a Marrakech. È allegra, ha le treccine con i fiocchi nonostante i cinquant’anni passati, i pantaloni stretti al polpaccio, le Converse alte sulle caviglie. Ci accompagna a fare un giro del riad, che di sera, con le candeline accese, i divani, i colori, le corti, è intrigantissimo. Scale che salgono e poi riscendono, camere con le porte aperte come in una casa privata, angoli intimi. Una delle stanze spalancate è quella dove, contingentemente, dorme Vanessa: “ogni volta sto in una diversa, quella che è disponibile”, dice. La luce fioca, un vecchio telefonino da battaglia sulla scrivania, qualche libro appoggiato ai piedi del letto. Tutto l’hotel sembra una casa, che riflette chi ci vive dentro. Pareti rosse, una nicchia devozionale su Van Gogh, una pila di vecchie valigie da emigrazione più che da viaggio, un progetto fotografico e altre opere d’arte. Ogni scorcio è d’ispirazione e di bellezza. La terrazza sul tetto col ristorante, la piscina, i lettini e una vista pazzesca sulla città e sul minareto di Koutoubia, i patii con le amache…Alla fine si torna al bar, che si ha solo voglia di un gin tonic e di fermarsi ancora un po’. Per godersi quella Marrakech che fa arrendere qualunque agenda davanti a un improvvisamente impellente carpe diem.