
825 prodotti agroalimentari e vitivinicoli ad Indicazione geografica protetta (Igp), 5.056 Prodotti agroalimentari tradizionali (Pat) inclusi in un apposito elenco, istituito dal Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo con la collaborazione delle Regioni, 4 beni enogastronomici inseriti nella lista del patrimonio tangibile e intangibile dell’Unesco, 2 città creative Unesco dell’enogastronomia, 334.743 imprese di ristorazione, 875 ristoranti di eccellenza, 23.406 agriturismi che offrono servizi di alloggio, ristorazione e altre proposte turistiche, 114 musei legati al gusto, 173 Strade del vino e dei sapori.
Di fronte a questi numeri, che fotografano la realtà italiana legata al food e ai vini d’eccellenza, non c’è da stupirsi se si assiste a una continua crescita del turismo enogastronomico: per la precisione, ben il 45 per cento dei turisti italiani negli ultimi tre anni ha fatto un viaggio con questa motivazione, con un aumento percentuale del 48 per cento rispetto al 2018. Inoltre, cresce la fruizione di esperienze legate al cibo e al vino: il 98 per cento dei viaggiatori italiani, a prescindere che si muovano per turismo balneare, di montagna o business, ha partecipato ad almeno un’atitvità di questo genere nel corso di un viaggio.

E’ quanto emerge dal Rapporto sul turismo enogastronomico italiano 2019, curato dalla professoressa Roberta Garibaldi dell’Università degli studi di Bergamo, sotto la supervisione scientifica della World Food Travel Association e dell’ateneo bergamasco, con il patrocinio del ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, Enit (Associazione nazionale del turismo), Federculture, Ismea, Fondazione Qualivita e Touring Club Italiano. Come spiega la stessa Garibaldi, «i risultati ottenuti sono molto significativi: non solo certificano la crescente rilevanza di questo segmento turistico tra i viaggiatori del Belpaese, ma ci fanno capire che l’enogastronomia deve diventare un forte elemento di attenzione per tutte le destinazioni nostrane, stimolando un’offerta turistica sempre più specifica e strutturata».

Ma vediamo qualche altra statistica, tra le tante emerse dal Rapporto (più di 400 pagine). Innazitutto, chi sono i turisti enogastromici italiani? I dati ci dicono che sono generalmente sposati o convivono e provengono da tutto il Paese, in particolare l’Italia del sud (52 per cento) contro un 47 per cento del Centro, un 41 per cento del Nordovest e un 39 per cento del Nordest. Inoltre, questo segmento turistico comprende in modo trasversale persone di diverse età, soprattutto gli appartenenti alla cosiddetta Generazione X (nati tra il 1960 e il 1980) e i Millennials (1981-1998): il 47 per cento dei primi e il 46 per cento dei secondi ha dichiarato di aver svolto viaggi enogastronomici, con un incremento di interesse da parte dei Millennials dell’86 per cento su base annua. Per la precisione, questi ultimi prediligono destinazioni dove l’offerta legata al food e al vino è ampia e diversificata e si integra sia con un contesto di particolare pregio paesaggistico sia con un’identità culturale forte e radicata della popolazione residente: ad affermarsi è dunque il concetto di “paesaggio enogastronomico”, ovvero l’insieme di cultura, persone, ambiente, attività e prodotti tipici che il turista italiano prende sempre più in considerazione quando sceglie la meta di un viaggio.

Come sottolinea Franco Iseppi, presidente del Touring Club Italiano, «dal nostro punto di vista di viaggiatori e di associazione storica promotrice di un turismo consapevole, la grande varietà dei nostri paesaggi e la loro storia moltiplica pressoché all’infinito le opportunità del racconto del cibo che spesso è una delle porte di accesso più immediate a un territorio, una delle prime esperienze con le quali il viaggiatore contemporaneo cerca un contatto con la cultura e le tradizioni del luogo. Sostenere questa offerta significa dunque generare valore per i territori che sono la fonte creativa della nostra identità plurale. Raccontarla crea un effetto moltiplicatore che dall’agricoltura, e quindi dal paesaggio, dai prodotti alimentari, dalle tradizioni enogastronomiche, si riflette sui territori, sugli abitanti, sugli ospiti, sull’economia, sul turismo».

Per potenziare il turismo in generale, e in particolare quello enogastronomico, bisogna dunque riuscire a stabilire un rapporto più profondo tra chi visita un posto e chi in quel posto ci vive e ci lavora così da rendere i turisti più partecipi facendoli quasi sentire “di casa”. Invece, come risulta dal Rapporto, permane una domanda inespressa di esperienze a tema, più coinvolgenti e “vere”, che indica l’esistenza di un mercato potenziale ancora da soddisfare: a livello complessivo, la differenza media tra desiderio e fruizione si attesta intorno al 22 per cento della totalità dei turisti e tende a essere più accentuata per alcune esperienze, in particolare la visita a fabbriche di cioccolato (riguardo a questo punto il gap tra desiderio e fruizione si attesta sul 54 per cento), pastifici (39 per cento) e viaggi enogastronomici di più giorni organizzati da un’agenzia (36 per cento).

Come ha concluso la professoressa Garibaldi, «abbiamo analizzato il gradimento delle varie tipologie di offerta e i motivi che limitano la partecipazione: vi sono molti dati positivi, ma dalle analisi svolte emerge che ci sono ancora spazi di miglioramento, sia in termini di organizzazione sia di fruibilità: il patrimonio enogastronomico italiano è una leva che può ancora esprimere molte potenzialità, attraverso processi territoriali di valorizzazione». Un invito che, speriamo, non cada del vuoto.
Informazioni: www.robertagaribaldi.it