A San Servolo, isola della Laguna Veneziana, si è svolta la prima edizione di Venezia Photo (19 febbraio-5 marzo 2018), un festival di fotografia organizzato da Les Rencontres d’Arles e dalla società San Servolo Servizi Metropolitani con alcuni dei fotografi più importanti della scena internazionale. E solo due maestri italiani: Oliviero Toscani e Settimio Benedusi. Oltre alle lezioni, l’intenso programma comprendeva conferenze speciali con Peter Lindberg, Peter Knapp e Maral Deghati, del World Press Photo. La sera del 20 febbraio, allievi e maestri hanno visitato la mostra di Werner Bishop alla Casa dei Tre Oci.
Per thetravelnews.it ha partecipato a Venezia Photo Francesca Romano, art director del nostro magazine e fotografa, che ci racconta qui la sua esperienza alla Masterclass di Eric Bouvet
La masterclass di un autore così importante del panorama internazionale è stata super interessante. Eric Bouvet ci ha fatto partecipare agli avvenimenti che ha vissuto in prima persona, e ha trasmesso un metodo per pensare, scattare ed editare un’immagine da fotogiornalista, senza lasciare nulla al caso ma nutrendosi sostanzialmente di esso. L’abilità di un fotografo consiste nell’essere dentro le storie, saperle prevedere un po’ con l’intuito, un p’o con l’occhio pronto a “vestire l’immagine”. Questi sono alcuni degli insegnamenti che ho colto durante le lezioni in francese. Questo infatti è l’unico punto debole di un corso che si preannunciava internazionale. Mi sarei aspettata che si parlasse inglese, lingua volenti o nolenti trasversale. Ma essendo l’organizzazione e il 99% del pubblico francesi, hanno finito per parlare la loro lingua, con il risultato che io, unica italiana e unica straniera nel mio Paese, non sono riuscita a seguire tutto. Forse nelle prossime edizioni, in presenza di un pubblico più internazionale, si parlerà inglese.

Eric Bouvet seleziona le immagini scattate a Venezia dai partecipanti alla Masterclass. © Francesca Romano
Nell’immagine in basso ci ha presentato il lavoro di Jason Eskenazi, Wonderland, A Fairy Tale of the Soviet Monolith, una serie di immagini scattate tra il 1991 e il 2001. Un libro autoprodotto, ormai quasi introvabile che ha reso famoso l’autore, nato a New York nel 1960. Questa serie è stata pubblicata su Time e The New York Times.

Sono stati quattro giorni molto intensi con sessioni di cultura dell’immagine, presentazione di autori contemporanei e analisi degli scatti fatti durante le due uscite. Infine i partecipanti hanno provato a fare editing su alcuni lavori di Bouvet, il quale ha poi valutato e aggiustato secondo la sua sequenza.
Per esempio, abbiamo lavorato sul reportage “1000m deep”, sull’ultima miniera francese chiusa nel 2004. È un servizio in bianco e nero con prevalenza di neri dove i volti dei minatori emergono dal buio e racconta i diversi momenti della giornata. Bouvet ha disposto sul tavolo più di 50 immagini e abbiamo scelto, in poco tempo, una sequenza che potesse raccontare la storia. È stato un utile assaggio, per entrare nel complesso tema dell’editing fotografico, appunti per approfondimenti futuri che meritano molto più tempo per essere elaborati e assorbiti.


Durante la seconda uscita abbiamo camminato di più. Quel pomeriggio abbiamo percorso 9,6 km e non sono stata neanche una di quelli che hanno camminato di più. Jean Claude, ad esempio ha camminato 11 km e Philippe ne ha fatti 13. Abbiamo visitato il ghetto di Venezia e fatto un giro intorno a Piazzale Roma, verso la terraferma, in cerca di ispirazioni. La luce era molto chiara, ovattata, il cielo coperto. Le indicazioni di Eric erano categoriche: massimo 20 scatti, non si guardano gli scatti sul monitor e consegna delle schede appena arrivati in aula. Nessuna post-produzione è stata fatta alle nostre foto, al contrario delle altre classi che hanno esposto immagini stampate in grande formato. Mentre appendevo le mie piccole stampe si è avvicinata una collega di un’altra masterclass, che si è stupita per la “crudezza” delle nostre immagini. La lezione di Bouvet era riferita al nostro contemporaneo modo di operare: troppi scatti, troppo tempo dietro al computer per fare editing abnormi e memorie dei computer sempre esaurite. Più pensiero prima dello scatto e meno tempo dedicato allo sviluppo dopo. Il nostro tempo è prezioso, giornate intere al computer non valgono quanto stare in giro a seguire avvenimenti o scattare nuove storie.







