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Valeria Mosca

Il mio supermarket è la natura: raccolgo fiori, aghi di pino, cortecce e bacche per pranzi e lezioni di cucina. Appuntamento con il foraging da Wooding a Desio

Oggi ne parlano come novità in cucina, ma il foraging esiste da sempre. Si va per boschi, montagne e spiagge per raccogliere gli ingredienti

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di Sara Magro

Valeria Mosca non ha inventato nulla: raccoglie e cucina frutti, fiori, foglie, muschi, licheni, cortecce, come si faceva una volta nel mondo rurale, e come qualcuno fa ancora. Oggi lo chiamano “foraging”, ma altro non è che raccogliere ingredienti nei boschi, sulle spiagge, in montagna, lungo i fiumi. Solo che per Valeria ormai è un lavoro: ha lasciato l’alta ristorazione per dedicarsi al suo progetto Wooding (www.wood-ing.org), un laboratorio di studio e ricerca sulla raccolta, la conservazione e l’utilizzo del cibo selvatico.

Quando hai iniziato a fare foraging?
In modo professionale, cinque anni fa. Come passione è nata molto prima, quando ero bambina. Sono cresciuta in Brianza, circondata dalla natura, e ho passato quasi tutte le estati in Val Malenco. I miei genitori mi portavano sempre a fare trekking mentre con mia nonna raccoglievamo malva, dente di leone e altre erbe selvatiche per la cucina. Io ho seguito le sue orme. Così, mettendo insieme famiglia, amore per la natura, passione per la cucina, e aggiungendo gli studi di antropologia (Valeria ha una laurea in conservazione dei beni culturali, con indirizzo in antropologia, ndr), ecco fatto il foraging.

Una definizione di foraging:
La raccolta di cibo selvatico esiste da sempre. Fino all’industrializzazione era un metodo di sostentamento. Lo è ancora oggi, soprattutto in alcune zone di montagna. In Val Malenco, conosco una signora che fa i pizzoccheri con erbe selvatiche e un rifugio che fa degli gnocchi squisiti con il “buon Enrico”, ovvero lo spinacio selvatico.

Qual è il periodo di raccolta?
Ogni stagione ha i suoi frutti. In autunno si raccolgono radici, foglie di sempreverdi, conifere, tarassaco, erba noce, piantaggine, rametti di abete, con i quali faccio brodi, infusi per i dolci. La zuppa di abete con gli aghetti è buonissima, così come la pasta con radici di tarassaco e uova di salmerino essiccate.

Dove si va a raccogliere?
In montagna, sulle spiagge, vicino ai fiumi, dipende dalla stagione. In inverno e primavera si sta nelle zone pianeggianti, poi con il disgelo si sale in quota fino a 2000 metri, per trovare timo selvatico, mirtilli, e il larice, un ingrediente che adoro, con cui preparo il risotto con le uova di salmerino. Ha un sapore agrumato e leggermente balsamico, e in mantecatura rilascia un po’ di resina.

Cosa si raccoglie?

Di tutto. Parliamo di 1000 ingredienti, forse di più. Sono davvero infinite le possibilità del cibo selvatico. Facciamo ricerca sui metodi di conservazione, dall’essiccatura alla fermentazione, e recuperiamo cibi dimenticati.

Ci fa un esempio?
Il rumex alpinus, una pianta che si trova in estate. Antropologicamente, culturalmente e storicamente parlando, fino all’800, era uno dei principali cibi di sussistenza dell’uomo. Oggi invece non lo danno nemmeno agli animali. Eppure è un alimento molto nutriente, che si conserva bene. Personalmente uso la fermentazione acido-lattica, un metodo che facilita la digestione. Lo raccolgo, lo lavo e lo metto a fermentare col sale in un contenitore di ceramica con un peso sopra per far espellere l’acqua in cui però resta immerso.

Come si usa il rumex alpinus in cucina?
Non è un aroma, è un ingrediente portante: se lo cucino con il salmerino, il pesce fa da accompagnamento al rumex, e non viceversa. Il lavoro più grande è proprio far capire come usare sia il rumex che gli altri ingredienti, con tecniche contemporanee, recuperando però l’uso che se ne faceva in passato. Il cibo è un importante strumento di identità culturale.

Come si fa a sapere cosa raccogliere e cosa no?
Un po’ si studia sui testi, ma l’esperienza sul campo è l’aspetto importante, e va fatta con gente che conosce bene non solo le piante, ma anche i tipi, le stagionalità. Tornando al rumex alpinus, non si può immaginare quanto varino le foglie a seconda del terreno, del mese, e questi sono aspetti che si imparano con l’esperienza e un buon maestro. Il foraging è una pratica che si trasmette oralmente.

Le ricette esistono già o le inventi?
Noi di Wooding le creiamo da zero, con un lungo lavoro di ricerca. A volte ci vogliono settimane per mettere a punto un piatto. Prima di tutto bisogna essere certi della commestibilità degli ingredienti. Se non si è sicuri, vanno fatti analizzare in laboratorio. La sperimentazione in cucina comincia solo quando non ci sono dubbi sulla tossicità.

Dove hai imparato a cucinare?
Ho avuto la fortuna di lavorare anche in un ristorante stellato. È stata un’esperienza istruttiva, ma io volevo fare altro. Con dispiacere ho constato che abbiamo perso di vista il significato del rapporto tra uomo e cibo. Ho cercato di capire perché, e cosa potevo fare per rimettere al centro questo legame complesso ed esistenziale. Ormai siamo abituati a procurarci il cibo dagli scaffali, dalla dispensa, dai menu senza farci domande sulla sua provenienza, senza fare alcuna fatica per procacciarlo.

Si può preparare un pasto completo con la raccolta?
Assolutamente sì, dall’antipasto al dolce come testimoniano i menu di otto portate che si degustano da Wooding, la nostra associazione.

Si risparmia con il foraging?
Magari si risparmiano soldi, ma certo non tempo; è una cucina molto slow, tra raccolta conservazione e preparazione. Fare una dieta al 100% foraging oggi è praticamente impossibile, va integrata. Bisogna essere realisti, non è tempo né luogo di vivere in modo selvaggio, quindi nemmeno di mangiare così. Il foraging fa bene alla salute, anche per il tempo che si passa all’aperto, ed è importante per ristabilire un rapporto di consapevolezza con il cibo. Ma poi bisogna vivere nel presente.

Wooding è un laboratorio con sede a Desio (Milano), fondato da Valeria Mosca nel 2011 per divulgare la pratica e la cultura del foraging. Oltre alle attività di ricerca, studio e sprimentazione, da Wooding si organizzano pranzi di degustazione con menu fino a otto portate e workshop per approfondire la pratica. Il corso per principianti dura tre giorni: uno per imparare le regole base e linee guida del foraging; uno per la raccolta nei boschi o sui monti della zona; il terzo giorno si cucina con gli ingredienti raccolti. Da 220 €; www.wood-ing.org