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Previsioni per il Giglio

Scongiurato il pericolo ambientale, l’isola del naufragio Costa avrà forse più turisti la prossima estate. Colpa dell’Emo Tourism

Una volta scongiurato il pericolo ambientale, ancora in agguato, l’isola del naufragio Costa potrebbe avere più turisti la prossima estate. Per il fenomeno un po’ perverso dell’Emo-Tourism

Di Sara Magro

Leggo sui giornali che all’isola del Giglio si teme un’estate senza turisti a causa del naufragio della Costa Concordia. Difficile fare un simile pronostico, in tempi in cui Cogne è diventata la regina dark del turismo alpino dopo l’omicidio del piccolo Samuele, e Avetrana si è guadagnata il titolo di nuova meta di pellegrinnaggio con il delitto Scazzi. Almeno a Cogne ci sono le montagne, le passeggiate, gli alberghi di charme, le marmotte, le piste da sci, ma ad Avetrana cosa c’è da vedere? Niente, a parte il covo dei parenti serpenti della povera Sarah Scazzi. Eppure la gente ci va, numerosa, per vedere il luogo del delitto o del disastro. E basta.

Speriamo piuttosto che il relitto della nave venga rimosso al più presto e senza guai ambientali per il Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano di cui il Giglio fa parte. Si tratta di operazioni colossali, come anche quella di svuotamento dei serbatoi, mentre è rientrato il rischio di rilascio dei detersivi. L’isola è un’area protetta sia come sito di interesse regionale (SIR) che come zona di protezione speciale (ZPS), e i danni al patrimonio naturalistico potrebbero rappresentare una conseguenza preoccupante e irreparabile per la prossima stagione.  Ma se questo pericolo rientrerà e se le operazioni andranno a buon fine, il Giglio dovrà semmai pensare a come contingentare gli arrivi, visto che spesso, come insegnano Cogne e Avetrana, ma anche Chernobyl, New Orleans e Auschwitz, le persone sono fatalmente attratte dai luoghi dei disastri, al punta da organizzarci le vacanze.

Questo è ciò che succederà probabilmente anche all’isola toscana che, ovviamente, preferirebbe farsi desiderare per le sue bellezze piuttosto che per i suoi drammi. Ma tant’è, per un po’ si dovrà sfruttare il flusso dell’Emo Tourism, un tipo di viaggio che da dieci a questa parte vive una nouvelle vague, come corrente turistica intorno alla quale è addirittura nato un genere. Di cosa si tratta? Lasciamo la parola alle pagine scritte sull’argomento da Mario Gerosa nel libro Nuovi Turismi (Morellini, 2011; 14,90 €).

«Difficile dire cosa spinga la gente a rallentare e a fermarsi a guardare quando c’è un incidente in autostrada. Indubbiamente scatta un certo bisogno di sapere, mischiato a una sorta di voyeurismo, che è anche alla base dell’Emo-Tourism, il turismo emozionale, un tipo di viaggio che contempla un’immedesimazione vera o presunta con le disgrazie degli altri. In poche parole, ci si reca in un posto segnato da disgrazie o calamità di vario genere per testimoniare direttamente la propria partecipazione, ostentando (a seconda dei casi) una discreta dose di dolore, come se invece di essere andati in gita si fosse andati a un funerale.

È questo il triste spirito dell’Emo-Tourism, una sorta di pellegrinaggio laico; chi opta per questo tipo di turismo viaggia per commuoversi per il dolore degli altri, facendo visita a luoghi che trasudano tristezza, dolore e sofferenze.

Ci troviamo nell’ambito della macro-categoria del “Dark Tourism”, il lato oscuro del turismo, che nella sua integrità com- prende molteplici espressioni di viaggio triste e/o pericoloso, che spaziano dall’Emo Tourism al War Tourism, al Disaster Tourism. In particolare, nel caso dell’Emo Tourism, a differenza di altre esperienze, non è prevista una partecipazione diretta, a parte quella emozionale è un turismo che non implica alcuna forma di pericolo. Ci sono moltissime sfaccettature dell’Emo Tourism, ma le due mete principali sono i luoghi colpiti da catastrofi naturali, da vedere quando la scena del disastro è considerata assolutamente sicura, e le case in cui si è consumato qualche delitto.

In effetti, non si tratta poi di una forma di turismo così nuova. Diciamo piuttosto che l’EmoTourism è un evergreen che ritorna periodicamente in auge. Per la verità, questo modo di viaggiare ebbe inizio moltissimi anni fa, quando i viaggiatori del Grand Tour programmavano una tappa obbligata a Pompei, pittoresco luogo di un disastro epico. Si affrontano lunghi viaggi per vedere la scena di un crimine o per constatare con occhio clinico gli effetti di un disastro, misurandone l’entità, quasi anziché turisti si fosse scienziati. In un certo senso è un turismo da Mondo cane, che non si compiace delle meraviglie del mondo ma prende atto delle tragedie.

La dinamica è sempre la stessa: si sceglie un luogo che abbia avuto una forte risonanza mediatica, reso celebre dai telegiornali e dai rotocalchi, ci si documenta sui giornali e su Internet, e poi si parte, considerando quelle mete alla stessa stregua di set cinematografici. Non per niente, viaggi di questo tipo sono chiamati anche “Reality tours”, mettendo ancora una volta l’attenzione su un bisogno sfrenato di voyeurismo che inizia col telegiornale e finisce con la polvere e i detriti.

A seconda della destinazione prescelta, poi, la classica guida turistica viene sostituita da qualche copia di Cronaca vera o da un numero speciale di Panorama o dell’Espresso. Ed ecco che tanta gente si assiepa davanti alla villetta di Montroz a Cogne o alla casa del delitto di Avetrana, quando non si preferiscano L’Aquila e le altre città colpite dal terremoto in Abruzzo, o ancora, il Belice, dove ancor oggi arrivano periodicamente pullman stipati di turisti che vogliono vedere i ruderi delle case distrutte dal terremoto del 1968.

Nell’agosto 2005, quando si scatenò il terribile uragano Katrina, vari tour operator e agenzie di viaggio di New Orleans si attrezzarono per l’occasione, proponendo pacchetti per visitare i luoghi presi di mira.Tra queste, la Gray Line, che propone l’Hurricane Katrina Tours, durante il quale si visitano le zone più colpite, descritte da una guida che elenca le enormi perdite per la popolazione del posto. Propone tour di questo tipo anche Viator, che dopo una breve visita di New Orleans fa trascorrere ai partecipanti un paio d’ore nei luoghi in cui la natura si è abbattuta. Una tappa obbligata per chi predilige questo tipo di viaggi è Chernobyl, in Ucraina, dove il 26 aprile 1986 esplose un reattore di una centrale nucleare. Uno dei tour operator attivi più attivi a Chernobyl è Hamalia, che propone un “tour ecologico” di Chernobyl,“organizzato con il fine di ricevere ulteriori finanziamenti per rimuovere i detriti causati dall’esplosione”. Il tour, che dura un giorno intero, prevede una visita alla centrale nucleare e alla costruzione nota come “il sarcofago” e un giro nella città fantasma di Prypiat.

Altre mete popolari sono l’atollo di Bikini, Hiroshima (allo Smithsonian National Air and Space Museum di Washington è conservato l’Enola Gay, l’aereo che scaricò le bombe su Hiroshima) e Nagasaki, tutti teatri di catastrofi nucleari.

In Italia, ci si può recare a Meda, dove fino al 1982 si trovava la fabbrica dell’ICMESA, da cui nel 1976 si propagò la nube tossica della diossina. Oggi al posto della fabbrica c’è un campo sportivo, e nella famigerata Zona A colpita dalla nube tossica, tra Seveso e Meda, c’è il Bosco delle Querce.

Cosa spinga tanta gente a fare un triste pellegrinaggio in questi luoghi anziché trascorrere una piacevole giornata tra le opere d’arte dell’Ermitage di San Pietroburgo, non è facile a dirsi. C’è il bisogno di stringersi gli uni agli altri davanti alla scena di una tragedia, c’è la voglia di spiare, di scrutare, il desiderio di cogliere qualche dettaglio nascosto. Anche se, poi, molti diranno che sono lì in segno di solidarietà. Cosa vera per qualcuno, ma confutabile per molti altri. Qualcuno piange perché gli spiace davvero, altri lo fanno perché si sentono in dovere di farlo.Tutti, indistintamente, sentono di aver fatto qualcosa di utile. Che cosa, non si sa.

Il copione di questi viaggi si ripete sempre uguale, con pullman gremiti di viaggiatori che scendono commossi con lacrima d’ordinanza e videocamera nei luoghi colpiti da una tragedia. Il commento tipo di questi malinconicissimi viaggiatori è “Molto peggio di quanto si è visto in tv”. Quindi, ancora una volta si coglie il bisogno di constatare, di verificare, di saggiare quanto si era visto da lontano, attraverso l’etere, per capire se sia veramente tutto vero, se sia tutto così terribile. E quando ci si è resi conto che era tutto così grave, ci si fa una ragione e soprattutto ci si fa scattare una foto sul teatro della tragedia, pensando che alla fine ci si può ritenere fortunati, e si conclude con un pranzo in trattoria.

In conclusione, è doveroso notare che non si può generalizzare, e nell’ambito dell’Emo-Tourism ci sono anche cause ben più nobili. Per esempio, c’è tanta gente che soffre davvero nei teatri delle catastrofi e vive in maniera fortemente drammatica una visita ad Auschwitz o a Ground Zero». Brano tratto da Nuovi Turismi (Morellini; 14,90 €).