L’incontro con una turista mi fa riscoprire una città bellissima e sconosciuta. La mia, quella dove sono nata e cresciuta.

di Valeria Delvecchio
Could you help me, please? sussurra imbarazzata una giovane donna straniera ferma al semaforo di Piazza XXIV Maggio. Ha in mano una cartina decisamente ingombrante e mi chiede la via più veloce per arrivare in centro. Il suo senso di orientamento si è scaricato come lo smartphone che funge da navigatore e, ulteriormente confusa dai lavori in corso, non riesce a trovare sulla mappa il punto in cui si trova. Devo ammetterlo: se fosse stato un giorno come gli altri, costretta dagli impegni quotidiani a rispettare precise tabelle di marcia, probabilmente non l’avrei nemmeno notata e, alla richiesta di indicazioni, mi sarebbe uscita non volente una risposta sbrigativa e formale. Ma oggi il tempo è un alleato e non solo mi offro di aiutarla, ma mi auto-candido sua guida personale. Mi prendo quindi la libertà di godermi la giornata con questo casuale e bellissimo imprevisto: una viaggiatrice desiderosa di scoprire la città in cui vivo. Vedo l’incontro inaspettato come un’opportunità per osservare Milano con occhi diversi, come un city break all’interno della stessa città in cui sono nata e cresciuta ma che talvolta snobbo con l’insensata giustificazione che “tanto è lì” o ingannata dal banale pensiero che la vera bellezza si trovi a ore di volo da qui. Senza accorgermi che a volte, invece, bastano due fermate di tram. Forti ed entusiaste di questa nuova complicità, ci presentiamo, accantoniamo l’inglese perché parla un italiano fluente, ci raccontiamo pillole dei nostri vissuti e scopro che la giovane traveller ha la mia età, proviene da Beyazit, vivace quartiere di Istanbul, e ha finito da poco un dottorato di ricerca in studi italianistici che le è valso un viaggio nel suo Paese preferito, regalato dalla famiglia che ha voluto premiare così la sua costanza e il suo impegno. A proposito, si chiama Imer che in turco significa Giardino del Paradiso e questo mi colpisce a tal punto che il suo nome diventa l’ispirazione per il tour che le voglio proporre. Le chiedo di riporre in borsa la guida cartacea-ha ancora giorni a disposizione per seguire le schematiche istruzioni su cosa fare e vedere- perché oggi siamo destinate a perderci in angoli insoliti e sconosciuti e a vedere una Milano che rompe gli argini delle recensioni.
La nostra giornata a Milano
Cosa vuol dire Vetra? Chiede curiosa la mia ospite turca quando arriviamo alla nostra prima tappa. Le spiego che Piazza Vetra deve il suo nome secondo alcuni al canale Vectra, un canale maleodorante poi bonificato, e secondo altri deriva da vetro con riferimento ai vetri usati dai conciatori per raschiare le pelli. L’eco delle voci e delle leggende su questa piazza riecheggia ancora oggi, ma quello che mi preme raccontarle è l’evoluzione di questa zona. Da luogo delle pubbliche punizioni- raccontate persino da Manzoni-e delle condanne a morte di cui le vittime erano soprattutto donne accusate di stregoneria, a giardino pubblico parte del “parco delle basiliche” con la Basilica di S. Lorenzo e S. Eustorgio, di importanza storica ed artistica del tutto straordinaria. Da zona malfamata dimora di tossici e clochard a spazio dal fascino alternative chic che raduna indistintamente punk, rockettari, radical chic hipster Emo e rapper che filosofeggiano sulle scale della Basilica, sdraiati nel parco o con la schiena appoggiata alle colonne di S. Lorenzo, sorseggiando birra e contribuendo con le loro strambe e streganti individualità al folklore contemporaneo di questa città. Vetra e le colonne sono ancora oggetto dei nostri discorsi quando ci incamminiamo verso la sede principale dell’Università statale, passando per piazza Sant’Alessandro, di solito riempita dalle chiacchiere intellettuali e frenetiche degli studenti di Lingue e oggi casa silenziosa e pacifica di piccioni svogliati. Voglio mostrare a Imer l’Ateneo dove ho studiato e soprattutto i chiostri all’interno di questo splendido edificio rinascimentale. Quelli che io chiamo i tesori nascosti di Milano, luoghi di pace e meditazione, lontani anni luce dal caos cittadino e che mi fanno fantasticare sugli antichi filosofi e le loro indagini sull’anima e la vita. Pánta rêi, diceva Eraclito, tutto scorre come le ore passate insieme e i fiumi di parole che non riusciamo a controllare e che ci portano, senza neanche deciderlo, al Parco Guastalla, i giardini più antichi di Milano. A darci il benvenuto sono i gridolini dei bambini che si divertono sui giochi a loro disposizione, ignari del valore e della ricchezza del parco voluto da Paola Ludovica Torello, Contessa di Guastalla, rimasta vedova a 29 anni e trasferitasi a Milano dopo aver venduto il suo feudo ai Gonzaga. Alberi di tulipani, tigli selvatici laghetti fontane e viali alberati fanno da cornice naturale non solo alla Peschiera barocca e al tempietto neoclassico, opera di Luigi Cagnola, ma anche alla nostra (meritatissima) pausa pranzo. La stanchezza cede il posto alla curiosità e dopo il break, rianimate da un timido sole, il nostro giro per Milano prosegue senza una precisa destinazione. So che ci ritroviamo alla Sormani, la Biblioteca comunale, chiamata affettuosamente cosi dai Milanesi. Non solo una reminiscenza della vita liceale e universitaria, ma un luogo di eccellenza per lo studio e la lettura. Con un patrimonio ricchissimo, quasi inestimabile e un trascorso storico che traspare in ogni angolo, persino nella strombatura della finestra del locale oggi adibito a guardaroba, dove è rimasto incastrato un proiettile d’artiglieria sparato durante le Cinque Giornate di Milano, a cui è stata dedicata anche l’omonima piazza che, con i suoi locali i cinema i negozi modaioli e ricercati i bar e i palazzi raffinati merita una serie di scatti e autoscatti. La memoria della macchina fotografica di Imer è quasi piena ma le suggerisco di lasciare un po’ di giga per la Rotonda della Besana. Un gioiello incastonato nel centro di Milano e ingiustamente offuscato dal rumoroso traffico meneghino. Suggestiva e misteriosa spesso la si guarda distrattamente dall’esterno, liquidandola come un edificio tardobarocco destinato in passato a funzioni cimiteriali. Ma pochi sanno che oggi è uno spazio espositivo corteggiato da artisti e da stilisti. Una “location” insolita pensata per un’altra epoca ma ancora attuale, in piena evoluzione, protagonista privilegiata di Piano City, nuova sede prescelta per il Museo dei Bambini, intreccio di volte e colonne voluto come sfondo per una passerella di Trussardi. Uno spazio architettonico da valorizzare e da godersi anche una domenica insieme alla famiglia, aperto all’innovazione e che riunisce le eccellenze nazionali e internazionali della cultura e delle arti.
Ci lasciamo la Rotonda alle spalle e procediamo verso Porta Romana in cui ci concediamo un aperitivo, attirate dalle risate di giovani business men e women desiderosi di spensieratezza, svago e divertimento dopo l’intensa giornata lavorativa che hanno tutta l’intenzione di lasciarsi alle spalle. Sorseggiano buon vino e cocktail colorati, spizzicano il finger food che i locali ostentano su banconi dal design ricercato, osservano le acrobazie di barmen vanitosi e si confrontano sui posti e le zone dove continuare la serata. Anche io e Imer ci amalgamiamo con questa umanità leggera e variopinta mentre il sole tramonta.
Mi dispiace Imer, ma devo proprio andare.
Non ti preoccupare… Anzi ti ringrazio. Avevo programmato l’intera giornata e poi ho cambiato totalmente i miei piani. Ed è stato bello.
Anche per me, davvero. Ho riscoperto posti che non vedevo da anni e ne ho visti altri nuovi. Quindi sono io che ringrazio te.
Valeria, sorry, hai un ultimo consiglio per i prossimi giorni?
Mi fermo. Comincio a pensare e con lo sguardo perso nel vuoto le parole mi escono di bocca in uno stream of consciousness ingestibile. E mi accorgo che più che rispondere a lei, sto parlando a me stessa. Ricordando uno a uno i motivi per cui adoro stare qui.
Imer, Milano è: il rumore dei bonghi a Parco Sempione, le grandi cartellette contenenti stravaganti disegni degli eccentrici artisti in erba di Brera, le tonache dei preti che escono dall’Università Cattolica e dalla Basilica di S. Ambrogio, il rumore delle macchine sul pavé, le mamme con i bambini in bicicletta ai Giardini pubblici di Porta Venezia, il viavai umano e bizzarro di via Tortona e Savona durante il Fuorisalone e quell’atmosfera cosmopolita e di aggregazione che porta la Design Week, i tavolini esterni dei locali e le birrerie dei Navigli dove il sabato sera fatichi a camminare (e a trovare parcheggio) per la fiumana di gente, i ventenni che mangiano brioches e panini alle 4 di mattina dopo una serata nelle discoteche di Corso Como, la Chinatown e il profumo di involtini primavera in Paolo Sarpi, le spose che si lasciano fotografare felici e vanesie sotto l’Arco della Pace, il Cenacolo di Leonardo, i mormorii dei visitatori della Triennale, lo storico Bar Magenta, le persone che aspettano rassegnate il tram e il treno in Porta Genova, le case di ringhiera del quartiere Isola e la sua vita notturna e modaiola che si muove al ritmo del Jazz, le case occupate da associazioni artistiche e culturali che vogliono riqualificare la città e i laboratori artigianali di vecchietti che sanno ancora parlare il dialetto e guardano con nostalgia la loro Madonnina, i grattacieli futuristici di Porta Nuova, gli alberghi signorili e chic vicino alla Stazione Centrale, le signore impellicciate a qualche prima del Teatro Alla Scala e le proteste degli animalisti, i loft meravigliosi e nascosti usati per le feste private o gli shooting di moda, i cantieri in fibrillazione per l’Expo 2015, i murales e i graffiti, la multiculturalità di Viale Padova, la nebbia fasciante nelle giornate invernali, sedersi a leggere in Piazza Mercanti, gli ambulanti di Papiniano il sabato mattina, i tassisti sempre un po’ incazzati, gli applausi scroscianti nei teatri dove si avverte la presenza dei personaggi milanesi che hanno fatto la storia musicale e artistica della città, Fo Gaber Jannacci, il profumo delle panetterie, i turisti che rimangono incantati di fronte alla maestosità del Duomo, le letture e le esposizioni al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, gli extracomunitari con la testa appoggiata sui vetri sporchi e appannati della 90 appesantiti dal lavoro e dalla malinconia, il ritmo convulso delle corse mattutine, le serrande delle boutique che si abbassano dopo le 7, i cori dei tifosi a San Siro, le luci della sera.
Milano, Imer, è una signora elegante, complessa e complicata, capricciosa e un po’ stronza. Non è per dilettanti. Ma è troppo bella per dirle addio.
Con questo post Thetravelnews partecipa alla Battaglia delle Nazioni di HRS, un contest che vede i blogger europei sfidarsi a suon di post. Chi descriverà meglio la città ideale per un city break?
A Luglio vi comunicheremo il vincitore, intanto let’s cross our fingers