
Quando incontro Mauro Camusso e sua figlia Elisa vengono immediatamente conquistata dall’entusiasmo con cui parlano dell’Autin Cantine, la loro azienda vitivinicola che si trova a Barge, località in provincia di Cuneo, ma geograficamente molto vicina alla piana torinese e a Pinerolo. Una storia che inizia una decina di anni fa quella dell’Autin, come racconta Mauro, imprenditore di successo, insieme alla moglie Maura, nel campo dell’estrazione della pregiata pietra di Luserna, da secoli utilizzata come materiale da costruzione (un esempio per tutti: la grande cupola e la cuspide della Mole Antonelliana di Torino).

«Mio padre e mio nonno hanno sempre avuto vigne, quindi fin da piccolo sento fortemente il legame col territorio. Dieci anni fa ho deciso di ripartire proprio dagli appezzamenti di terreno di famiglia che si trovano a Campiglione Fenile, Barge e Bibiana, nella Doc del Pinerolese, a cavallo di due province, Cuneo e Torino, e sotto l’ombra del Monviso». Già alle prima parole di Mauro intuisco come la sua competenza, non solo in campo geologico, sia stata determinante per l’attività dell’Autin, azienda che non a caso prende il nome dalle piccole vigne a conduzione familiare (in piemontese, appunto, autin). «All’inizio siamo partiti con gli antichi vitigni tipici del territorio: Barbera, Neiretta e Sciatusa, visto che tutti dicevano che questa zona è più adatta ai rossi. Io però mi sono ricordato di quello che sosteneva Italo Eynard, il mio professore di viticoltura all’Università (Mauro è laureato in enologia, ndr) che riteneva queste terre pedemontane potenzialmente adatte anche ai bianchi per via dell’escursione termica e della vicinanza alle montagne».

Detto, fatto: Mauro ha preso una decisione controcorrente e ha cominciato a coltivare viti a bacca bianca. «Sono partito da vitigni internazionali, Pinot nero, Chardonnay e Riesling, più un autoctono, il Bianc Vert». Scommessa vinta: oggi i vini bianchi dell’Autin, estremamente profumati e caratterizzati da un’ottima acidità e mineralità, sono commercializzati con le etichette Pellengo (ottenuto da uve Riesling); Verbian (da un vitigno autoctono di Bibiana); Cupa d’or (da Sauvignon Blanc). Anche i nomi degli altri vini prodotti sono affascinanti: il rosato da bacca rossa si chiama Rubellus – «lo otteniamo dalla classica vecchia vigna, la prima che abbiamo recuperato, vinificata in bianco», spiega Mauro – mentre i rossi sono stati battezzati Gemma Vitis (da Bonarda), El Merlu (da uve Barbera) e Finisidum (da uve a bacca rossa di diverse tipologie: le stesse del Rubellus, ma vinificate in rosso).

Tutti i vitigni da cui si ottengono i vini dell’Autin sono coltivati con metodi biologici: per combattere le malattie tipiche dell’uva, come peronospora e oidio, vengono usate sostanze “antiche”, ovvero verderame, zolfo in polvere e poltiglia bordolese. Anche in cantina c’è un’attenzione particolare alla salute: «Tendenzialmente non usiamo solfiti o ne aggiungiamo quantità minime», spiega Mauro. «Per chiarificare e stabilizzare i vini bianchi, preferiamo portarli a due- tre gradi sottozero: è un metodo che ha un costo superiore all’utilizzo dei solfiti, ma si traduce in un beneficio per chi beve. I nostri vini, infatti, non provocano il tipico cerchio alla testa».

Un’altra grande scommessa dell’Autin, anche questa vinta, è stata quella di produrre un passito piemontese. Come spiega Elisa, studentessa di ingegneria e sommelier, «le condizioni climatiche del nostro territorio non sono le più adatte, ma Giorgio Gasca, il cugino di mio padre cofondatore di quest’azienda e purtroppo prematuramente scomparso, credeva moltissimo nella possibilità di produrre un vino da meditazione di qualità in questo territorio: proprio per esaudire il suo desiderio, ce l’abbiamo messa tutta e alla fine è nato il passito che si chiama Passi di Giò proprio in omaggio a Giorgio (questo vino è stato premiato con la Corona,il massimo riconoscimento della guida Vinibuoni 2019 del Touring Club Italiano, ndr). Le uve da cui si produce, malvasia e moscato, vengono raccolte nel mese di ottobre e poi collocate su appositi graticci dove rimangono ad appassire fino a febbraio: il periodo di appassimento è quello più delicato perché, soprattutto nelle zone umide, c’è il rischio di un attacco delle muffe. Per fortuna, il clima locale, anche se è freddo e quindi meno favorevole per la produzione di passito rispetto al Sud, perlomeno è ventilato».

Sono già entusiasta dei vini dell’Autin, ma scopro che i Camusso hanno in serbo una sorpresa: è Eli Brut, uno spumante metodo classico – 50 per cento Pinot nero e 50 per cento Chardonnay – che è stato dedicato ad Elisa per il suo diciottesimo compleanno. A prima vista sembrerebbe affine ad altre bollicine italiane, ma in realtà ha una caratteristica unica, come racconta lo stesso Mauro. «Qualche anno fa ho accompagnato Elisa a visitare la miniera Paola, in Val Germanasca, a 70 km da Torino, dalla quale fino al 1995 si estraeva il cosiddetto “Bianco delle Alpi”, una varietà pregiata di talco utilizzata in molti campi (oggi quella galleria sotterranea è stata trasformata nell’Ecomuseo delle miniere e della Valle Germanasca, www.ecomuseominiere.it, ndr). Mentre percorrevamo la galleria, mi sono reso conto che la temperatura era ovunque intorno ai 10 °C. Sapendo che assenza di luce, umidità e temperatura costanti sono fondamentali affinché la presa di spuma, una fase importantissima del processo di spumantizzazione, avvenga in modo ottimale, ho pensato che questa miniera potesse essere l’ambiente ideale per l’affinamento del vino».

Da allora Mauro, che qualche anno prima aveva impiantato anche una vigna per spumante, porta le bottiglie via via prodotte a riposare per 30 mesi in piccole gallerie che si diramano da quella principale della miniera Paola e in un’altra galleria dismessa più a valle. Questo lungo periodo di pausa, che in gergo tecnico si chiama affinamento sui lieviti (dal francese “sur lie”), rende il perlage più fine e arricchisce il vino del tipico profumo, simile alla pasta lievitata. Una sorta condivisa anche dallo spumante Eli Brut rosé, Pinot nero in purezza, di colore rosa salmone e dal perlage fine e persistente, caratterizzato da note floreali e fruttate, come la rosa canina e il ribes.

A questo punto mi resta solo una domanda: dove si possono acquistare i vini de L’Autin? Elisa mi spiega che, visto il loro profondo legame con il territorio, le bottiglie sono distribuite a livello locale. Un vero peccato: sono pronta a scommettere che in futuro questa produzione vitivinicola avrà riconoscimenti su ampia scala. Per il momento, chi fosse interessato a saperne di più sull’azienda e ad acquistare i vini online, può consultare l’indirizzo http://www.lautin.it o la pagina Facebook https://www.facebook.com/vinilautin dove c’è il calendario di tutte le manifestazioni alle quali partecipa L’Autin.
