
È l’hotel di cui tanto si discorre in questo periodo. Stiamo parlando del Ca’ di Dio, prestigioso hotel firmato Patricia Urquiola che fa parte del brand VRetreats, collezione di dimore storiche che compone una ‘suite di destinazioni’ che vuole celebrare le bellezze del nostro Paese.
Niente di più straordinario che poter visitare l’hotel attraverso le parole di chi l’ha immaginato e progettato, la designer e archistar Patricia Urquiola. Incantata a prima vista dalla potenza e dalla maestosità di questo edificio duecentesco, che nel Cinquecento ha visto l’intervento del grande architetto della repubblica di Venezia Jacopo Sansovino, Urquiola ha lavorato in sottrazione, lasciando intatta l’anima di questo palazzo e ricreando, come dal desiderio del committente, l’atmosfera di una casa, e coniugando il rigore dell’edificio e la severità della struttura originale con la raffinatezza e l’eleganza tradizionale rappresentativa dei palazzi veneziani. Leit motiv del progetto è l’acqua, che si riflette all’interno nella palette di colori declinata in sfumature e trasparenze in un gioco fluido di movimenti continui.

“Progettare il lusso – racconta Urquiola a The Travel News – ha un significato diverso da prima. Per me si tratta di una proposta di alta qualità che implica una progettazione più sentita e consapevole, sensibile e complessa. Da affrontare con un approccio più sistemico, che non si può limitare solo al linguaggio dell’immagine, ma deve interagire con tutti i protagonisti di questo percorso e utilizzando materiali che mantengono un forte legame col territorio e con il genius loci. La qualità ha bisogno di reinventarsi e ampliare le basi di come è concepita. I lavori di cui sono più contenta seguono questo approccio. Abbiamo fatto un grande lavoro di ricerca per esaltare la personalità di Ca’ di Dio, senza stravolgerne il passato, ma reinterpretandolo in chiave contemporanea. Per me è stato un grandioso onore lavorare su questo progetto”.
Alla domanda di quale sia l’oggetto o l’ambiente di cui è più innamorata, Patricia risponde che non è una risposta facile. Ogni spazio ha una sua storia, ma tutti presentano una ricercatezza caratterizzata da tessuti, vetri, pietre e marmi, lavorati nel rispetto delle tradizioni delle maestranze locali, come le lampade di vetro disegnate ad hoc e prodotte in gran parte dalla vetreria LP Glass. Grande attenzione è stata data anche alla conservazione dei pavimenti, in seminato veneziano e in marmo rosso iraniano vecchio di secoli.

Le 66 stanze – 57 suite e solo 9 deluxe – presentano boiserie tessili e cornici in legno che riquadrano le finestre, quasi a sottolineare la relazione fra interno ed esterno, e quasi sempre una cabina armadio nascosta da vetri anticati. Nessun angolo, invece, propriamente dedicato al lavoro, nessuna scrivania: una scelta precisa che rispecchia il nuovo modo di lavorare di ciascuno di noi, seduti in poltrona con un semplice device in grembo o appoggiato sul piccolo tavolino di marmo di fronte al divano. Le lampade delle camere, disegnate su misura, soffiate dai maestri dell’arte vetraia, sono incorporate nella grande testata in tessuto, quelle del bagno sono una piccola opera d’arte, mentre quelle del salottino lettura – uno degli ambienti più accoglienti dell’hotel – sono una scomposizione di una lampada degli anni Settanta di Carlo Scarpa.

Ma l’elemento che forse rappresenta al meglio la commistione fra l’artigianato locale e la genialità del design è il grande lampadario a tre vele della lobby, uno degli ambienti più rappresentativi dell’intero albergo, composto da 14mila cristalli di vetro, che come un’onda che entra dal mare galleggia sopra a tre sedute di velluto, prodotte da Moroso, che seguono la stessa forma sinuosa. La lobby – per Patricia Urquiola luogo cruciale e biglietto da visita di ogni hotel – trova posto nell’antica chiesa di questo edificio che fin dalla sua nascita, per secoli, ha ospitato donne in difficoltà. L’immobile, negli anni recenti abbandonato, era infatti l’emblema dell’assistenza ai più fragili fin dal Duecento, e luogo di accoglienza per i pellegrini che sostavano in attesa di raggiungere il Santo Sepolcro in Terra Santa, come indica il suo nome: da un punto di vista etimologico Ca’ di Dio indica infatti una “casa” che accoglie e ristora. L’edificio – dato in gestione a VRetreats – è di proprietà di un Ente Pubblico di assistenza e beneficenza che coi proventi dell’hotel sostiene il welfare che è la sua mission.

“Questo progetto ha la sensibilità di dare vita ad un edificio che ha un grande valore storico e sociale” – prosegue Urquiola. “Per me era ovvio mantenere la sobrietà dei luoghi, le sfumature di colore, il senso della patina del tempo. In ogni luogo ho inserito elementi importanti – la testata del letto, il lampadario a onda… – ma ho mantenuto l’essenzialità del linguaggio, i colori tenui della laguna, le sfumature, le trasparenze”.
Molto importante anche il fatto che lo studio Urquiola lavora giocando su diverse scale di progetto, e quindi anche sul prodotto, così ha la possibilità di creare con le aziende con cui collabora – Cassina, Moroso, Flos, Boffi, Kartell, tanto per citarne alcune – mobili ad hoc per i suoi progetti con un vantaggio enorme sia in termini di tempo che di budget, e così ha la possibilità di testare il prodotto in prima persona e “forzare la mano” alle aziende di cui è direttore creativo a fare cose che normalmente non farebbero….

Patricia Urquiola sottolinea anche la duplice valenza dell’albergo che vuole essere un luogo privilegiato aperto alla città e non un ghetto per turisti, da vivere, per la sua posizione e per come è concepito, anche da parte dei veneziani. Un luogo dove gli abitanti possono riposare nei suoi tre giardini interni ricavati dalle corti, oasi di pace che infondono serenità, e i visitatori possono ristorarsi dopo la visita della città o dopo gli eventi della Biennale.

L’hotel sorge infatti in Riva degli Schiavoni nel sestiere Castello, a pochi passi dall’Arsenale e dalla Biennale, una zona di Venezia che tanto significa per Urquiola. La laguna che si apre davanti alle sue finestre è parte integrante del progetto ed entra con la scelta dei colori che declinano la palette dei verdi, dei grigi, degli azzurri. La facciata è spoglia e lineare, con due aperture che invitano a entrare nella lobby, e molte finestre. Né la proprietà né l’architetto hanno voluto assolutamente connotarlo come hotel, in rispetto alla filosofia del brand che vuole creare delle ‘case’ e non degli alberghi, e per questo non c’è nessuna insegna per invitare la gente ad entrare e scoprire la malia di questo luogo. Si conta sul passaparola, sulla curiosità della gente e sulla soddisfazione del cliente, che sicuramente ne decreteranno il successo.

Gli ospiti esterni possono rilassarsi anche al bar Alchemia e al Ristorante VeRo (che sta per Venetian Roots) che serve piatti della tradizione reinterpretati dall’executive Chef Raimondo Squeo, accompagnati dalle verdure dell’orto interno, prodotti fatti in casa come il pane con levito naturale, le farine Bio macinate in pietra, e prodotti del territorio come carni del Montello e dell’Alpago, i formaggi veneti e il pesce di laguna. Allo spazio all’aperto, affacciato sulla laguna, si contrappone la sala rivestita da tessuti Rubelli e decorata da un soffitto tessile di grande impatto visivo realizzato da Jannelli & Volpi su disegno di Patricia Urquiola, ispirato alla tradizione culinaria veneziana. A completare l’hotel il secondo ristorante, Essentia, la Pura City Spa The Merchant of Venice, e due altane collegate a due suite ma utilizzabili anche per organizzare piccoli eventi privati da cui ammirare tutta Venezia.

Il progetto di ristrutturazione ha posto l’accento anche sulla sostenibilità, con investimenti per dotare la struttura di sistemi ed infrastrutture in grado di limitare l’impatto ambientale. Grazie anche all’utilizzo dell’acqua della laguna per la climatizzazione sarà possibile ridurre i consumi energetici del 20%, oltre a ridurre di circa 110t le emissioni di CO2 ogni anno rispetto alla media degli altri hotel. Un valore che si unisce ai molti dettagli che rendono Ca’ di Dio un albergo unico sul panorama veneziano. Un altro elemento importante è la domotica che programma la luce delle lampade a led secondo le ore della giornata e secondo le stagioni, per ottimizzare i consumi, e dosare l’impatto della luce che deve essere diverso nei vari periodi dell’anno.

“Vogliamo che i nostri alberghi siano come delle ‘case’ in cui l’ospite possa respirare la storia, la cultura della destinazione non appena mette piede nel nostro hotel. Ogni progetto deve rispettare questi stilemi, essere un edificio storico che incorpora l’anima della destinazione, con una forte personalità e dialogare con il territorio”. Così Paolo Terrinoni, a.d di VOIhotels di cui VRetreats è l’emanazione per il settore del lusso. “Un racconto che accompagni i nostri ospiti alla scoperta del mondo e delle sue bellezze. Ciò che ci interessa è la personalità distintiva che deve caratterizzare ogni nostro hotel. Ancor prima degli ospiti, dobbiamo innamorarci noi del progetto: Ca’ di Dio è esattamente questo, una storia che ameranno vivere tutti”.