
Di Barbara Pietrasanta*
Venezia vale la Biennale (4 giugno-27 novembre 2011), anche solo per il magnifico scenario che la ospita, l’Arsenale. Qui e nei suoi bei giardini si sviluppa un immenso percorso espositivo, con 83 artisti e 89 nazioni, attraverso il quale si disegna la mappa dell’immaginario collettivo contemporaneo. Date le dimensioni della mostra ci vorrebbero almeno due giorni di visita, ma non sempre si può, e non tutti possono. Perciò abbiamo scelto dieci tappe interessanti, per avere in una giornata una panoramica esaustiva della 54° edizione.
Cominciamo con la mostra Illuminazioni all’Arsenale. Si sviluppa fino al Giardino delle Vergini e approda, infine, al Padiglione Centrale dei Giardini, circondato dai padiglioni delle nazioni, dove è possibile ammirare tre magnifiche tele del Tintoretto. Il tema, dato dalla curatrice Bice Courier, è la luce e vuole illustrare una delle caratteristiche che l’arte possiede: essere un’esperienza unica e, appunto, illuminante. Tra le forse troppe fotografie e videoinstallazioni che coprono il perimetro degli ambienti, troviamo singolari interpretazioni realizzate con lampade e neon, come quelle di David Nuur, Martin Creed e Gianni Colombo, oltre a strutture costruite con materiali di recupero come l’immenso dragone sospeso del sudafricano Nicholas Hlobo. Sono da ammirare le ironiche statue in cera di Urs Fisher, compresa una riproduzione del Ratto delle Sabine del Giambologna sotto forma di una colossale candela che brucia lentamente fino al suo futuro e lento annientamento.
Proseguendo nelle sale si incontrano le prime esposizioni nazionali; quasi d’improvviso appare quella argentina con le monumentali sculture fantascientifiche in argilla dell’artista Adriàn Villar Rojas che si ergono sopra di noi evocando i resti di un impero distrutto.
Lungo il cammino verso le Artiglierie, ecco il Padiglione Italia, voluto in forma originale da Vittorio Sgarbi, che esibisce le 200 preferenze in tema d’arte di altrettanti intellettuali italiani; più che altro sembra una grande e confusa fiera di paese. Colpisce però la forte presenza della pittura, spesso accantonata a favore di altri media più scenografici.
Merita attenzione il Museo della mafia, per l’occasione trasferito da Salemi a Venezia (nella foto a sinistra). Forse è un po’ didascalico ma di forte impatto emotivo. Il leit-motif dell’esposizione? “L’arte non è cosa nostra”, che si affianca a un’installazione curiosa e un po’ kitsch che vede un’Italia sanguinante come altare (foto a destra).
Lasciata l’area italiana, si entra nella penombra della Cina, che esprime il senso di bellezza attraverso il sapore. Piccoli vasi di porcellana disseminati in ogni angolo raccolgono profumi di erbe, installazione di Yang Maoyuan, nubi di vapore emanano effluvi di tè e i sensi approdano a una passerella luminosa di immagini liquide dell’artista Pan Gongkai.
Spostandosi ai Giardini, oltre al Padiglione Centrale che accoglie importanti artisti dell’attuale panorama internazionale e una miriade di piccioni tassidermizzati di Cattelan, si cammina tra i begli edifici che ospitano i padiglioni delle nazioni. Consiglio una sosta a quello degli Stati Uniti con le opere di Allora & Calzadilla tra cui un surreale organo-bankomat che suona e modula i toni a carta inserita per prelevare contanti.
La Svizzera stupisce per la trasgressione e la ribellione all’ordine: oggetti vari e giocattoli legati tra loro da una folle striscia continua di carta stagnola – forse quella del cioccolato? – e in mezzo un muro di pezzi di vetro che richiedono ben tre guardiani alla sicurezza.
Freschezza, colore e allegria caratterizzano invece l’originale padiglione della Repubblica di Corea. Qui l’artista Lee Yongbaek ci parla di libertà dagli stereotipi e con una sala di grandi specchi distrugge la nostra immagine.
Per smorzare il sorriso basta entrare nell’edificio della Germania con un allestimento teatrale costruito sull’opera di Christoph Schlingensief, artista e regista morto nel 2010, dove si legge in multimedialità la personale lotta dell’autore contro il cancro e le esperienze soggettive conseguenti.
Tabaimo trasforma il padiglione giapponese con un’animazione in computer di immagini disegnate a mano che rappresentano un grande pozzo espandibile sotto un grande cielo telescopico. Nella domanda che l’artista si pone, Il mondo di una rana che vive in un pozzo è davvero tanto piccolo?, si legge in una metafora la società nipponica di oggi.
Gran finale con il naso all’insù davanti all’installazione della Francia, una magnifica struttura meccanica in cui scorrono volti di bambini che, con la partecipazione attiva dello spettatore, possono avere la fortuna di entrare nel grande tabellone dell’esistenza: Chance, opera di Christian Boltanski, apre al caso della vita e all’incessante ritmo della nascita (nella foto in centro).
Il giro è finito, anche se di sicuro resta ancora molto da vedere e, tra spettacolo e visione, il traghetto che mi riporta indietro alla magnifica città sulla laguna mi culla ancora nel sogno, prolungando il piacere e la magia dell’esperienza artistica.
Barbara Pietrasanta* Artista, comunicatrice e curatrice è laureata all’Accademia di Belle Arti di Brera. Direttore creativo dell’agenzia Anyway, ha esposto a New York, San Francisco, New Delhi, Kolkata, Jaipur, Zagabria, Dubrovnik, Milano, Roma, Torino e molte altre città italiane. Sue opere si trovano nel patrimonio della Provincia di Milano e nella Collezione Farnesina a Roma. È membro della Commissione artistica della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano. Ha recentemente pubblicato il libro L’ideogramma al neon sul linguaggio dell’immagine in Cina.