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La Lugano di Hesse

Rivisitare la casa, i luoghi, i paesaggi che hanno ispirato l’autore di Siddharta, a 50 anni dalla scomparsa

Rivisitare la casa, i luoghi, i paesaggi che hanno ispirato l’autore di Siddharta, a 50 anni dalla scomparsa

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Testo e fotografie di Gianmario Marras

A 50 anni dalla scomparsa (9 agosto 1962), si celebra a Montagnola Hermann Hesse, scrittore, poeta, pittore, viaggiatore, cantore del vagabondaggio e dell’erranza, del camminare lento alla ricerca della bellezza, della passione, dell’estasi. Alzi la mano chi non ha letto Siddharta (di cui è prevista a settembre una nuova edizione, con pagine inedite) o Pellegrinaggio in oriente? Chi non ha conservato una frase, un pensiero, una riflessione di Hermann, fra le pagine del suo diario o da qualche altra parte, sullo smartphone o fra le mille parole di un blog personale. Perché Hermann Hesse è un pilastro della cultura occidentale del Novecento, visionario, mistico, rivoluzionario, un precursore, tanto che i suoi romanzi divennero quasi una bibbia per il nascente movimento hippy. Premio Nobel, sì, ma vicinissimo a ciascuno di noi, per un suo libro c’è sempre stato spazio nella nostra valigia nel nostro zaino e ce ne sarà fra i file del nostro e book reader.

A Montagnola, poche case nel comune di Collina d’Oro con vista sulle acque del lago di Lugano, Hesse visse più della metà della sua vita, traendo ispirazione per i suoi scritti più importanti, da non crederci ma i paesaggi del suo lontano oriente, in buona parte non sono altro che quelli di colline, boschi, giardini fioriti e acque della Collina d’Oro, della Valle di Muggio e del Ceresio, il lago le cui acque bagnano Lugano, arrivando fino ai vicini  confini italiani.

Al Museo Hesse fra le mura della torre di Casa Camuzzi dove visse lo scrittore, fanno capo le attività  legate alle celebrazioni del 2012, come la mostra “…sorvolare i confini”, per rendere omaggio, da fine agosto in collaborazione con il Museo Cantonale d’Arte di Lugano e il Kunstmuseum di Berna, a Hermann Hesse pittore, o il Festival Hesse, in programma il 29 e 30 settembre con letture, conversazioni e concerti(tel.+41/91/9933770, entrata 8.50 franchi svizzeri; hessemontagnola.ch).


Come guida uno dei suoi libri più belli L’ultima estate di Klingsor, di cui vi proponiamo qualche pagina:

Il giorno di Careno di Hermann Hesse

In compagnia degli  amici di Barengo e con Agosto ed Ersilia, Klingsor intraprese l’escursione a Careno. Di buon mattino, accarezzati dal tremolio delle regnatele ancora bagnate di rugiada ai margini del bosco si calarono, attraverso la foresta ripida e calda, nella valle di Pampambio. Qui, lungo la strada gialla dormivano case di un giallo acceso, stordite dal sole dell’estate, curve in avanti e smorte ai bordi del ruscello disseccato i bianchi salici dai bagliori metallici inclinavano le loro pesanti ali sui prati dorati. Ondeggiava variopinta la carovana degli amici sulla strada rosata attraverso il verde vaporoso della valle: gli uomini bianchi e gialli in lino e seta, le donne bianche e rosa, l’ombrellino di Ersilia di un fantastico verde Veronese mandava bagliori come una gemma in un anello magico.

Il dottore con la sua voce gioviale si lagnava malinconicamente: «È proprio un peccato, Klingsor, i suoi incantevoli acquarelli tra dieci anni saranno tutti bianchi; questi colori che lei predilige non tengono.»

Klingsor: «È vero, e c’è di peggio: i suoi bei capelli bruni, dottore tra dieci anni saranno tutti grigi e non molto tempo dopo le nostre ossa graziose e gaie giaceranno da qualche parte in un buco sottoterra, purtroppo anche le sue ossa così belle e sane, Ersilia. Su, ragazzi, non cominciamo proprio ora, così avanti negli anni, a diventare assennati. Hermann, come dice Li Tai Pe?»

Hermann, il poeta, si fermò e disse:

La vita trascorre come un lampo

Il cui splendore così poco dura che appena

[ lo si vede.

Se cielo e terra eterni e immobili stanno

come rapido fugge il tempo mutevole sul volto

[dell’uomo.

O tu che stai seduto con un boccale ricolmo

[e pur non bevi

Tu dimmi, chi stai aspettando ancora?

Si arrampicavano su per lo stretto sentiero nell’ombra dei castagni chiazzata di fluttuanti macchie di sole. Guardando in su Klingsor vedeva, dinanzi al suo volto, i sottili polpacci della pittrice, rosei sotto le calze trasparenti. Se guardava indietro scorgeva il turchese dell’ombrellino inarcato sulla nera testa africana di Ersilia; lì sotto c’era lei tutta violetta nel suo vestito di seta, l’unica figura scura tra tutte. Presso un casolare, azzurro e arancione, erano cadute sull’erba mele acerbe, fresche e acidule; le assaggiarono. La pittrice raccontava con trasporto di una gita sulla Senna, a Parigi, una volta, prima della guerra. Già, Parigi e il felice tempo di ieri!

«Non tornerà mai più. Mai più».

«E neppure deve tornare, » gridò vivacemente il pittore scuotendo con ira l’appuntita testa da sparviero. «Niente deve tornare! E a che scopo poi? Che significano questi desideri puerili? La guerra ha ridipinto tutto ciò che c’era prima, facendo di tutto un paradiso, anche delle cose più stupide e superflue. Bene, era bello a Parigi è bello a Roma e ad Arles. Ma è forse meno bello oggi, qui? Il paradiso non è Parigi e neppure il tempo di pace, il paradiso è qui, sta lassù sulla montagna e tra un ‘ora noi vi saremo dentro, saremo i ladroni ai quali è detto ‹Oggi sarai con me in Paradiso›.»

… L’estate alitava rovente sul monte, la luce fluiva perpendicolare, vapori colorati esalavano dall’abisso in innumerevoli gradazioni. Sopra i monti più vicini che scandivano sul bianco dei villaggi risonanze di verde e di rosso, svettavano creste di monti bluastri e dietro ancora altre catene chiare e più azzurre; lontanissime ed irreali le cime cristalline delle montagne coperte di neve…

Il sentiero proseguiva seguendo il crinale, tra castagni, tra alberi di noce, assolato, ombroso. Ad ogni curva un tabernacolo votivo, vecchio e giallo, nella nicchia antichi dipinti sbiaditi, una testa di santo dalla dolcezza angelica e infantile, un brano rosso e marrone di panneggio, il resto sgretolato. Klingsor amava molto i vecchi dipinti quando li incontrava così, inaspettati, amava simili affreschi, amava il ritorno di queste opere balle alla terra a ella polvere. Ancora alberi, viti, strada rovente, abbagliante, ancora una svolta ed ecco la meta, improvvisa, insperata: uno scuro androne, una chiesa grande e alta di pietra rossa, lanciata nel cielo gaia e sicura. Una piazza assolata, polvere e pace, erba rossa bruciata che sotto il piede si sfaceva, luce meridiana rifranta da pareti abbaglianti, una colonna sormontata da una figura resa visibile dal balenio del sole, intorno all’ampia piazza sospeso sull’azzurra immensità un davanzale di pietra.

Là dietro, il villaggio, Careno, antichissimo, angusto, oscuro, saraceno, cupe caverne di pietra sotto tegole di un bruno smorto, viuzze opprimenti che si restringono come in un sogno, immerse nella tenebra, poi all’improvviso piazzette urlanti in un sole accecante, Africa e Nagasaki, al di sopra il bosco, al di sotto l’azzurra voragine, nuvole bianche in alto, opulente, sazie.

«È straordinario, » disee Klingsor, « quanto tempo occorra prima di poterci un po’ orientatre in questo mondo! Quando una volta, anni or sono, mi recai in Asia, passai, viaggiando di notte su di un direttissimo, a sei o forse dieci chilometri da qui senza saperne nulla. Andavo in Asia e la cosa era per me, allora, assolutamente necessaria. Ma tutto quello che trovai là, lo trovo anche qui, oggi: foresta vergine, azzurro, gente straniera bella e impassibile, sole, santuari…

Piena di attesa la carovana s’noltrò nell’azzurra voragine d’ombra delle viuzze, non una persona, non un suono, non un pollo, non un cane. Ma nella penombra arcuata di una finestra Klingsor scorse una figura che si stagliava silenziosa, una bella ragazza dagli occhi neri, fazzoletto rosso in testa a trattenere i bruni capelli. Il suo sguardo, che tacito spiava glia stranieri, si incontrò con quello di lui e per un lungo attimo essi, l’uomo e la fanciulla, si fissarono negli occhi intensi e seri, due mondi estranei per un’istante vicini l’uno all’altro. Poi sorridendosi si scambiarono, breve ed intimo, l’eterno saluto dei sessi, l’antica, dolce, bramosa ostilità, ma già l’uomo straniero si era dileguato con un passo dietro l’angolo della casa e nello scrigno della fanciulla restava un’immagine accanto a tante immagini, un sogno accanto a tanti sogni. Nel cuore mai sazio di Klingsor il piccolo aculeo lasciò una ferita; per un momento indugiò pensando di tornare indietro, Agosto lo chiamò, Ersilia prese a cantare, un muro d’ombra dileguò e comparve una piccola piazza vivida con due palazzi gialli, silenziosa e abbacinante nel mezzogiorno incantato, esigui balconcini di pietra, imposte serrate, splendido scenario per il primo atto di un’opera…

Ed ecco d’improvviso apparve la regina della montagna, esile e flessibile boccio, dritta e leggera, tutta in rosso, fiamma ardente, immagine della giovinezza. Dinanzi agli occhi di Klingsor cento visioni amate dileguarono e la nuova balò su, sfavillante. Subito seppe che l’avrebbe dipinta, non certo secondo natura, ma la chiarità che era in lei e che egli aveva accolto in sé avrebbe dipinto, la poesia, l’incantevole acerba risonanza: giovinezza, rosso, biondo, amazzone. L’avrebbe osservata, per un’ora intera, forse per più ore. L’avrebbe vista camminare, sedere, l’avrebbe vista ridere, forse danzare, forse l’avrebbe udita cantare. Il giorno aveva avuto la sua corona, il giorno aveva trovato il suo significato. Ciò che ancora poteva venire era dono, era un sovrappiù…

Per quanto camminassero speditamente ancora più rapido procedeva il sole; vicino a Plazzetto già calava dietro il monte e quando furono giunti alla vale, era già sera. Avevano sbagliato strada ed erano scesi troppo a valle, si sentivano stanchi ed affamati, cosi dovettero rinunciare ai loro progetti che avevano concepito per la sera: passeggiata a Barengo attraverso i campi di grano e cena a base di pesce nella trattoria del villaggio sul lago.

«Amici cari, » disse Klingsor che si era seduto su un muricciolo lungo la strada, «i nostri progetti erano senz’altro molto belli ed una buona cena dai pescatori o al Monte d’Oro non potrebbe che essermi gradita. Ma non ce la facciamo ad arrivare così lontano, io almeno no. Sono stanco ed ho fame. Non farò da qui un sol passo in più se non fino al prossimo grotto che non dovrebbe essere lontano. Là troveremo vino e pane ed è quanto basta. Chi viene con me?»

Info pratiche

Arrivare
In auto con l’autostrada A9, fino all’uscita di Melide, da Milano circa 70 chilometri, sull’autostrada è necessario il bollino con validità annuale in vendita all’entrata in Svizzera dopo la dogana (FS 40).
In treno fino alla stazione di Lugano e poi con l’autopostale (autopostale.ch).
In aereo con Darwin Airlines da Roma e da altre città (darwinairline.com)
Informazioni sul territoriowww.lugano-tourism.chwww.ticino.ch.

Penisola dell’Arbostora: Nel mezzo del lago di Lugano è coperta di boschi e percorsa da numerosi sentieri. Nella sua  parte occidentale si trova il comune di Collina d’Oro, con il borgo di Montagnola, dove visse Hermann Hesse, e altri piccoli comuni interessanti dal punto di vista paesaggistico, storico e naturalistico: Carona, Morcote, Vico Morcote, ci sono le alture dell’Alpe Vicania con il ristorante in posizione panoramica, il Parco di San Grato, il Parco Scherrer, e altro ancora, da scoprire a piedi, a cavallo o in mountain bike, fino alle rive del lago, dove attraccano i battelli, sui quali si può navigare per brevi crociere o in direzione di Lugano (lakelugano.ch).
Valle di Muggio: È la valle più a sud della Svizzera e confina con l’Italia dove prende il nome di Val Breggia. I suoi paesaggi fra boschi  e gole selvagge, ispirarono Hermann Hesse per il suo racconto «Pellegrinaggio in Oriente» del 1932. La valle è percorsa da circa 200 chilometri di sentieri, lungo i quali non è difficile incontrare volpi, cervi e caprioli. Particolarmente interessante la visita al Mulino Bruzella, completamente ristrutturato e funzionante e al piccolo museo etnografico di Cabbio. (turismo.valledimuggio.ch).
Monte Generoso: Massiccio montuoso che somiglia ad un panettone, meta di splendide escursioni naturalistiche. La cima si può raggiungere a piedi o fino ai primi giorni di novembre in treno, partendo dalla stazione di Capolago, anche a bordo) di un treno a vapore del 1890 (ultima corsa il 9 settembre, montegeneroso.ch).